Masochisti e furbetti

Questa tornata di elezioni amministrative, se non crea problemi al governo, deve allarmare non poco il centrodestra

Masochisti e furbetti

Questa tornata di elezioni amministrative, se non crea problemi al governo, deve allarmare non poco il centrodestra. Non tanto per risultati che molti definiscono una sconfitta, quanto perché la coalizione ha perso dove avrebbe potuto vincere. Di vera disfatta non si può parlare, infatti, visto che (basta guardare una tabella di YouTrend) nei Comuni il centrodestra ha guadagnato quattro amministrazioni. Né vale il discorso che ci sono città che pesano di più e altre meno: se fosse così la città di Palermo espugnata dal centrodestra come numero di abitanti varrebbe Verona, Catanzaro, Parma e Piacenza messe insieme. È vero, invece, che la coalizione prova un sottile piacere a farsi male da sola, un malcelato masochismo che nei momenti importanti la induce all'harakiri sull'esempio di un poeta che è sempre piaciuto alla cultura di destra, il giapponese Yukio Mishima.

Sulla sconfitta pesa certo l'appannamento dell'attuale leadership della Lega, che paga il tramonto del sovranismo come i 5 Stelle quello del populismo: il presidente del Friuli-Venezia Giulia, Fedriga, da posizioni più attente alle tematiche di governo, ad esempio, ha fatto cappotto nei Comuni della sua regione. Ma c'è soprattutto un dato, che ormai si potrebbe definire patologico, alla base delle sconfitte incomprensibili di Verona e Catanzaro; cioè quell'esasperata competizione, quella costante conflittualità che anima a turno una delle componenti del centrodestra innescata dall'andamento dei sondaggi. Una sorta di virus per cui, sulla base di percentuali non confermate dalle urne, ci si sente padroni. È successo in passato al Salvini del 37% e ora si sta ripresentando, con una sintomatologia ancora più grave, nella Meloni, che le rilevazioni danno al 23%. È un problema che la coalizione deve porsi in vista delle Politiche: o le leadership dei tre partiti maggiori del centrodestra cominciano a ragionare in termini di coalizione mettendo da parte l'egoismo di partito, o è meglio che ognuno cominci a pensare per sé, immaginando una nuova legge elettorale, magari proporzionale. Delle due l'una.

Anche perché la crisi della sinistra, che l'illusione del campo largo di Enrico Letta nasconde solo agli allocchi, spinge Pd e alleati ad utilizzare tutte le armi per vincere senza vincere. Far svolgere il secondo turno delle elezioni amministrative quasi a luglio in un solo giorno, già di fatto ipoteca il risultato. Tra il primo e il secondo turno si è perso per strada il 12% di elettori. Ed è evidente - le abitudini in politica contano - che la maggior parte sono elettori di centrodestra. È anche questo un modo sofisticato per manipolare il risultato elettorale. Già ci sono segnali che lo stesso giochetto Pd e soci lo ripeteranno alle Politiche: al Viminale si parla di fissare la scadenza elettorale alla fine del mese di maggio, quando il termine naturale dell'attuale legislatura sarebbe il marzo del 2023. Nel 2018, per mettere in piedi un governo dopo il voto, ci vollero tre mesi, se la situazione si ripetesse il prossimo anno e si andasse alle urne a maggio, il Paese non avrebbe un governo prima di agosto e l'attuale esecutivo dovrebbe scrivere i documenti finanziari, dal Def alla legge di Bilancio.

Si tratterebbe di un caso di irresponsabilità o di un esempio di furbizia: certo si voterebbe, ma l'attuale governo andrebbe avanti in ogni caso. Ecco perché il centrodestra farebbe bene a rizzare le orecchie e ad aprire gli occhi, invece di dedicarsi a dispute suicide.

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