Matteo alla guerra di logoramento

Matteo alla guerra di logoramento

La scena è sempre quella del duello all'Ok Corral. Se provochi Rocco Casalino dicendo che i renziani stanno mandando lui e il suo principale, cioè Giuseppe Conte, a casa, ti senti rispondere con un tantino di prosopopea: «Amore, ci sarà un Conte ter, stai tranquillo!». Della sbrasata nel Palazzo gira anche l'audio, tant'è che il renziano Michele Anzaldi ha chiesto le dimissioni del portavoce del capo del governo. Rigiri la battuta di Casalino all'altro protagonista del film di Ridley Scott «i duellanti», nell'occasione ambientato nella politica italiana, cioè Matteo Renzi, e ti becchi subito una replica a tono: «Magari! Come dice il mio amico Luciano Nobili lo chiameremo Conte ter perché durerà tre mesi!».

Scaramucce del genere andranno avanti per qualche mese, perché la «crisi» è latente, ma non è aperta. Ieri bastava farsi quattro passi nel Transatlantico di Montecitorio per averne conferma. Osserva Franco Marini, già segretario del Ppi, già presidente del Senato, vecchia volpe della Prima e della Seconda Repubblica, che attratto dai titoli dei giornali ha fatto capolino da quelle parti: «Ma quale crisi, quali elezioni?! Ma non vedi che il Transatlantico è deserto! Se ci fosse questo rischio, sarebbe brulicante di persone. Su 600 deputati ci saranno 10 pazzi che ci credono». Seduto su una poltrona un altro esperto del mestiere, Federico Fornaro, capogruppo di Leu e autore di «Elettori ed eletti», il miglior saggio sulle leggi elettorali, ci mette due secondi per spiegarti perché nel Palazzo sono tranquilli: «Qui siamo in una sorta di semestre bianco, non c'è modo per andare ad elezioni. Tra il referendum sulla diminuzione dei parlamentari, una nuova legge elettorale e l'esigenza di ridisegnare i collegi perché passeremo da 945 parlamentari a 600, arriveremo fino a giugno. Poi incomberà la legge di bilancio. Per cui gira che ti rigira, Salvini lo ha provato la scorsa estate sulla sua pelle, si arriverà a primavera, e vuoi che questo Parlamento a pochi mesi dalla possibilità di eleggere il successore di Mattarella, si autoaffondi? Ma su! La verità è che con questa rete di protezione rispetto alle urne, tutti hanno perso i freni inibitori».

Già, tutti hanno cominciato ad osare, perché il governo Conte, nato con l'obiettivo di evitare il voto, per quello stesso scopo non è più essenziale. Ora la sua sopravvivenza se la deve guadagnare. Il premier deve imparare a navigare da solo. L'altro ieri, dopo che i ministri di Iv avevano disertato il consiglio, Conte era partito con l'idea di imporre subito un «aut aut» a Renzi, minacciando una verifica e un voto di fiducia in Parlamento. Intenzioni bellicose che sono durate un attimo. Intanto perché gli alleati gli hanno spiegato che non era il caso: Dario Franceschini gli ha fatto un ragionamento che si può tradurre con il classico «statte bono!». Dall'altra il soggetto ipotetico che dovrebbe sostituire Renzi nella maggioranza, cioè i fantomatici «responsabili», è tornato ad essere una sorta di araba fenice, anche perché immaginare dei moderati che salvino l'attuale governo sulla riforma della «prescrizione» targata Bonafede è un assurdo. Silvio Berlusconi ha chiamato tutti i suoi per ammonirli: «Questo proprio no!». Così i piani per una «prova di forza» sono stati riposti nel cassetto. Se ne riparlerà quando il disegno di legge sulla riforma del processo penale con dentro le nuove norme sulla prescrizione arriverà all'esame del Parlamento (almeno tre mesi). «Se puntasse allo show-down oggi spiega il piddino Enrico Borghi Conte ballerebbe la musica di Renzi. Sarebbe un errore. Per fortuna è circondato da tanti democristiani che gli somministrano la giusta dose di bromuro. Il problema nasce quel giorno che Casalino, gli taglia la dose di nascosto, allora ci scappano i guai».

L'altro duellante, invece, ha pianificato tutto. Nel tempo: voterà la fiducia al Milleproroghe; invece, la riforma del processo penale la voterà solo se non avrà un'impronta giustizialista e non conterrà il lodo Conte e Bonafede. «Il premier ha sbagliato con me - sono le istruzioni che Renzi ha dato ai suoi ieri mattina - prima e adesso pagherà dazio. O cambia la posizione sulla prescrizione in termini meno giustizialisti, visto che i sondaggi stanno dando ragione a noi. O entro Pasqua noi sfiduciamo Bonafede, mettendo nel frattempo nel mirino altri temi grillini come il reddito di cittadinanza il 2 marzo a Milano. Poiché chi ha introdotto Conte tra i 5stelle è proprio Bonafede, il premier non potrà mollarlo». Ed ancora: «Se Conte non cambia posizione, delle due l'una: o il premier trova i numeri in Parlamento, mette in piedi un governo Conte Ter senza la Bellanova e la Bonetti, ma non credo che potrebbe riuscirci. E anche se ci riuscisse quel governo potrebbe andare avanti al massimo tre mesi per poi cadere sotto i dati economici. O si fa un governo vero. I nomi ci sono: Draghi innanzitutto; Gualtieri o un Pd; o ancora, se il centrodestra cominciasse a ragionare, non vedo perché non si potrebbe pensare a Giancarlo Giorgetti. Insomma, il nome non è un problema. E dato che come osserva Stefano Ceccanti siamo in una sorta di semestre bianco, cioè di fatto non si può votare, penso che ad un governo vero possano essere interessati tanti, anche un pezzo di grillini e un pezzo di Pd».

Insomma, sembra il piano del generale prussiano Carl von Clausewitz, e parte tutto dall'intuizione (tutta da verificare) che Conte non sia più essenziale per evitare le urne, che in fondo l'idea di un governo diverso possa piacere a molti. E in fondo qualcosa di vero c'è. Vedi quello che sta succedendo nella Lega. Addirittura raccontano che Salvini abbia accennato l'idea alla Meloni, ricevendone un diniego. «La Meloni è stato il commento di Giorgetti di politica capisce poco». Il dilemma è lì davanti a tutti: stare fermi, governati dall'inerzia e da un esecutivo votato al rinvio; o provare a far qualcosa di diverso. Magari un governo che affronti la questione fiscale e accompagni una fase costituente che oltre alla legge elettorale, si impegni in riforme impegnative come la «sfiducia costruttiva», il cancellierato o l'elezione diretta del presidente.

Intanto lunedì la maggioranza darà un nuovo impulso all'approvazione della legge elettorale. «Chiudere quel capitolo osserva ancora Fornaro di Liberi e Uguali aiuterebbe. Per immaginare il futuro dobbiamo prima decidere a che gioco si gioca. Ci sono il campo, i player, gli spalti, c'è solo da decidere se si gioca a calcio, con il proporzionale, o a rugby, con il maggioritario. A quel punto ognuno sceglierà i suoi schemi. Ad esempio, con una parte della Lega ci si può parlare. Sull'economia ci capiamo più con loro che con i grillini».

Segnali. Come pure un segnale, nei panni del paciere, è quello che invia Gianfranco Rotondi, erede dello scudocrociato, interlocutore nell'area moderata di Conte come Bruno Tabacci, supposto ispiratore dei «responsabili»: «Lo scontro tra Conte e Renzi è la sua analisi trae origine dal dato che entrambi vogliono occupare il centro. Conte ha due ingredienti importanti per riuscirci: ha buoni rapporti con il mondo cattolico ed è al governo. Renzi, invece, è un abile stratega cresciuto alla scuola dc.

Entrambi dovrebbero fare tesoro della cultura democristiana: dovrebbero stipulare un patto, come quello che, con le debite differenze, strinsero Moro e Fanfani a Palazzo Giustiniani. Insieme sarebbero una macchina da guerra».

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