Il Maxxi dispetto di Franceschini

Il Maxxi dispetto di Franceschini

In attesa che il Consiglio di Stato dichiari, com'era inevitabile, che i direttori stranieri non potevano essere insediati nei musei italiani (al di là del loro merito), il ministro Franceschini continua a fare nomine, a Camere sciolte anche se a governo vigente. Non voglio in alcun modo criticare il lavoro, l'impegno e perfino le capacità di Giovanna Melandri, presidente della fondazione Maxxi la quale, dopo lontane e superate polemiche su stipendi e bonus, è stata riconfermata con il Cda per il prossimo quinquennio. La legge lo consente, ma il rispetto e la cortesia istituzionale avrebbero dovuto consigliare una proroga senza imporre un organico in un settore delicato come quello dell'arte contemporanea. Che, insieme a quello del cinema, può caratterizzare l'orientamento di un ministero. Già l'emendamento del 2015 che reincardina come un satrapo Paolo Baratta alla presidenza della Biennale di Venezia per la terza volta rappresenta un vincolo per il prossimo governo. È vero che, mutando il vento politico, i responsabili di importanti istituti tendono ad adattarsi, ma a distanza di così poco tempo dalle elezioni la scelta appare arrogante e mortificante per la stessa Melandri, la quale sarà costretta a presentare le sue dimissioni al nuovo ministro, per correttezza.

Ho voluto scriverlo benché consideri positivo il suo apporto, imparagonabile con quello di totale asservimento al potere politico locale del direttore austriaco a Palazzo Ducale, Peter Aufreiter, per il quale non saranno necessarie le dimissioni per l'inevitabile decadenza.

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