Speriamo che a Mosca ci sia ancora qualcuno con la testa sulle spalle che non abbia perduto il senso delle parole e delle proporzioni dopo gli ultimi lanci subsonici di minacce da bulli ministeriali come quella di «conseguenze irreversibili» che ricorda «l'ora delle decisioni irrevocabili». E poi i rinfacci: il più misero è quello di aver inviato una colonna militare in Italia all'inizio della pandemia su discutibilissimo invito del governo Conte. E poi frasi minacciose di vecchio sapore sovietico come quella dedicata al ministro della Difesa Lorenzo Guerini, definito «uno dei falchi e ispiratori della campagna antirussa del governo italiano».
A Mosca si dovrebbero dare una calmata: non esiste alcuna campagna antirussa, se non quella che il Cremlino si sta facendo da solo invadendo uno Stato sovrano nel quale porta rovina, morte e distruzione. Semmai, farebbero bene a scendere dalla torretta del carro armato e ragionare. Chiedendosi come mai, proprio l'Italia che ha mostrato sempre una solida amicizia malgrado i venti di guerra fredda, sia verso l'Urss sia per la Federazione Russa, oggi sia così compatta nel condividere lo stesso atteggiamento di condanna di tutte le democrazie occidentali, europee e no.
Siamo sicuri che a Mosca ricordino bene. L'Italia repubblicana ha svolto nei confronti della Russia una politica spesso non gradita dagli alleati atlantici, praticando una politica commerciale vantaggiosa per entrambi i Paesi. Basta ricordare la posizione entusiasticamente filorussa di Giulio Andreotti e quella di personale amicizia con Putin di due politici italiani fra loro avversari, come Romano Prodi e Silvio Berlusconi i quali, entrambi, hanno fatto risaltare il «fattore umano» come strumento geopolitico. L'Italia ha cercato sempre di smorzare i toni e ridurre le conseguenze di atti di forza ancor prima dell'invasione dell'Ucraina, come la violazione della frontiera con la Georgia e l'annessione della Crimea, che hanno provocato un crescendo di irritazione nel campo delle democrazie. Ogni volta, l'Italia e i suoi politici hanno affrontato con moderazione quel che accadeva, lavorando per ridurre l'asprezza delle sanzioni e proteggere rapporti e interessi commerciali. Quel che è accaduto con la sanguinaria operazione militare in Ucraina non poteva però non provocare reazioni e allarme. Chi ha creato questa situazione si trova a Mosca e non a Roma. Eppure il risultato sono minacce, rinfacci e insulti.
Potremmo prendere in prestito una vecchia maschera di Alberto Sordi e chiedere: «'A russi! Vi abbiamo protetto e amato quando gli altri vi odiavano e voi ci
minacciate? Ve siete bevuti la vodka in orario di lavoro? State calmi e riportatevi a casa tutta la vostra ferraglia». Una volta la Russia era la patria di Gogol. Sarà rimasto qualcosa del senso dell'umorismo e della decenza?
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