È come se il calcio si volesse punire per poi autoassolversi: otto anni di squalifica a Joseph Blatter, otto anni di squalifica a Michel Platini, trattati da pari anche se pari non sono mai stati né come ruolo e neanche come potere. Lo scandalo della Fifa, delle tangenti, delle schifezze varie sembra non finire mai: ogni giorno si scopre una cosa in più che sembra peggiore di quella precedente. La prima reazione è quella dell'indignazione. Giusta, ma scontata.
Oggi tutti dicono che la situazione era nota a molti, ma la verità è che se così è stato per lungo tempo, a quei molti le cose sono andate bene così. Allora di chi è la colpa? Ovvio che i responsabili sono i dirigenti, Blatter in testa. Perché se governi il calcio per più di vent'anni e lo trasformi in una cosa tua, aggirando qualunque regola, qualunque convenzione civile, hai due strade: o riesci a restare al potere per sempre, o crolli miseramente. Diversa è la situazione di Platini, che sembra pagare il fatto di essere diventato il nemico di Blatter. Cioè: appena è diventato ufficialmente il potenziale successore in rottura con il presidente è finito nei guai.
Ha commesso errori, sicuramente. Ma perché paragonarlo a chi è considerato il re del marciume globale? È il momento in cui devono essere azzerati tutti per sentirsi migliori, per dare un colpo di spugna e trasformare l'inchiesta in una sentenza definitiva. Se ci metti dentro tutti diventi più credibile. Ma è il contrario: non si sono mai visti processi sommari che diventano verità storiche. Anzi: è il miglior modo per generare rivendicazioni, per trasformare eventuali colpevoli in potenziali vittime future.Blatter e Platini sono diversi. Forse sono entrambi colpevoli di qualcosa, ma non possono essere colpevoli allo stesso modo. È una questione di credibilità di chi crede di fare così pulizia. Perché il retrogusto peggiore di questa storia è il cinismo con cui le commissioni d'inchiesta e i media mondiali si muovono: vogliono il calcio intero dipinto come un mondo di corrotti e maneggioni, alimentando il sadico piacere di chi ogni giorno dice con disgusto e con alterigia che questa sia l'ovvia conseguenza del «business milionario che ruota attorno al calcio». C'è un piacere evidente nel mortificare uno sport amato dal mondo intero e per questo cattivo a prescindere.
È una specie di «ve l'avevamo detto» globale in cui commentatori, analisti, politici, intellettuali trovano originale dire «hanno rovinato il sogno dei bambini».Il calcio non è marcio. Lo sono gli uomini, evidentemente. È una differenza fondamentale che spesso viene trascurata: mettere tutto nello stesso calderone non è più giustizia, ma vendetta. È una cosa molto diversa. Purtroppo nella storia dell'umanità molte altre cose hanno avuto questa deriva e ogni volta l'analisi successiva di quei fatti ha finito per ritorcersi contro i manettari. I colpevoli vanno puniti, ciascuno per quello che ha fatto, non tutti per quello che non possono non aver fatto. Altrimenti la credibilità presunta diventa presto ideologia, anzi spesso voglia di protagonismo.
Nel calcio ce ne sono già molti: Blatter era uno di questi, non è diventando dei Blatter della giustizia che si fa pulizia del blatterismo. Il calcio s'è spesso pentito delle sue sentenze sommarie. Però finisce per commettere spesso lo stesso errore.Giuseppe De Bellis- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.