"Mi hanno tolto mio figlio. E il papà lo ha ammazzato"

L’uomo si è poi ammazzato. Il bimbo è stato ucciso durante un incontro protetto nei locali della Asl. Nessuno è stato dichiarato responsabile

"Mi hanno tolto mio figlio. E il papà lo ha ammazzato"

Dodici anni fa un papà ha ucciso il figlio e subito dopo, con la stessa arma, ha deciso di togliersi la vita. Una vendetta nei confronti della mamma della piccola vittima, rimasta sola a piangere per aver perso il suo bambino di soli 9 anni. Nonostante le 17 denunce, la perizia psichiatrica che aveva rilevato il disturbo bipolare dell'uomo, i tanti anni di persecuzione e le minacce che si erano trasformate in una atroce realtà. L’assassino di suo figlio le aveva spesso ripetuto quella frase: “Se il bambino non può stare con me, allora non starà neanche con te”.

Ha ucciso il figlio durante un incontro protetto

Come raccontato da Il Messaggero, il 25 febbraio del 2009, durante un incontro protetto in una struttura dei servizi sociali a San Donato Milanese, Yors Barakat, egiziano, ha sparato alla nuca del figlio Federico, di soli nove anni. Il piccolo non è però subito morto e il padre lo ha quindi ucciso a coltellate. Poco dopo si è tolto la vita lui stesso. Antonella Penati, la mamma di Federico, ha affermato che “questo è l'unico caso italiano e probabilmente europeo in cui l'omicidio di un minore avviene nei locali della Asl. C'è una responsabilità dello Stato, a partire dal Tribunale dei Minori per scendere nella catena di deleghe, all'origine della tragedia. E questo, con la sentenza della Corte europea dei Diritti dell'uomo, non ci è stato riconosciuto”.

Gli avvocati della donna hanno preparato il ricorso alla Grande camera della Corte europea. Lo scorso 11 maggio i giudici di Strasburgo, ben 6 anni dopo il deposito del ricorso, hanno decretato che nel caso di Federico non è stato violato il diritto alla vita. Come spiegato dalla mamma della piccola vittima, è stata quindi “accolta la tesi del giudice italiano, secondo cui il compito dei servizi sociali era garantire il diritto all'affettività del padre e alla bigenitorialità, non la sicurezza del minore. Gli operatori della Asl sono stati accusati di concorso omissivo colposo in omicidio doloso, perché non avrebbero preso le opportune cautele nella gestione del rapporto padre-minore, ma sono stati assolti in via definitiva. Mi sono rivolta ai giudici perché temevo per la vita mia e di mio figlio, per due volte il padre ha tentato di sottrarlo dall'asilo tant'è che ho fatto una segnalazione alle frontiere temendo che lo portasse all'estero. Hanno imposto a Federico gli incontri protetti con il padre e se non li avessi accettati lo avrebbero mandato in una casa famiglia. Lui però soffriva, subiva violenze psicologiche e io l'ho segnalato. Con il risultato di essere considerata una madre ostacolante e isterica. Mi è stata tolta la tutela su mio figlio, che viveva comunque con me, ed è stato affidato ai servizi sociali”. Adesso la signora Penati vuole una risposta giuridica per suo figlio e per i 500 bimbi uccisi dal 2009 fino ai giorni nostri. Per questo si batte la donna, affiancata dalla sua “Associazione Federico nel cuore Onlus”.

Cosa chiede la mamma del piccolo Federico

Secondo la Penati le procedure devono essere riformate e l'infanzia deve essere tutelata nella gestione dei rapporti conflittuali. Ha quindi precisato che nel suio caso "c'erano due persone che subivano violenza, mio figlio ed io, e un pazzo squilibrato che, quando ha ucciso Federico, aveva in corpo una quantità di cannabis dieci volte superiore a quella considerata dalla comunità scientifica come indicativa di un consumo cronico. Ma lo Stato non ha fatto niente per impedire l'omicidio. Tutt'ora negli stessi locali in cui si svolgono gli incontri protetti non c'è un metal detector, nessun controllo. A cosa è servita la morte del mio piccolo? Il 25 novembre 2017 sono andata in Parlamento, ho chiesto allo Stato italiano di fare chiarezza. Mancano i meccanismi di difesa del minore quando è affidato a un ente. Mio figlio, cittadino italiano, non è stato protetto perché doveva essere educato alla bigenitorialità. Ma un bambino morto purtroppo non può più essere educato” queste le parole di rabbia e dolore della mamma del bimbo ucciso dal padre. La donna è poi ricorsa a un esempio esplicativo: nel caso in cui un bambino muoia a scuola è la maestra stessa a essere denunciata. Allo stesso modo, qualsiasi professionista si prenda in carico un minore ne deve poi rispondere se accade qualcosa. Invece, nel caso di Federico nessuno è stato ritenuto responsabile.

“C'è qualcosa di sbagliato. In Italia non esiste su tutto il territorio nazionale una normativa unica che regoli l'accesso dei bambini agli spazi neutri per gli incontri protetti.

Ogni Comune ha il suo programma, le sue procedure, oppure non ha proprio nulla. C'è una voragine di responsabilità che né la Cassazione, né la Corte di Strasburgo hanno avuto il coraggio o la volontà di riempire” ha denunciato la mamma che ha perso il suo piccolo angelo.

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