"Io, disabile, ostaggio di disservizi e buocrazia"

La donna di 36 anni, con cittadinanza francese ma residente in Italia, ci ha raccontato le sue grandi difficoltà a spostarsi a Roma con la carrozzina e il totale abbandono da parte dello Stato

"Io, disabile, ostaggio di disservizi e buocrazia"

La storia di Marie è iniziata come quella di tanti stranieri che stregati dalle bellezze del nostro Paese finiscono per decidere di trasferirsi a vivere qui. La prima volta che questa ragazza francese originaria di Tolone arriva in Italia è il 2006.

Marie non ha neppure 20 anni, studia Arte e Archeologia e rimane impressionata dalle città che visita. Tanto che sette anni fa decide di lavorare a Roma. Apre un'agenzia di viaggi specializzata in tour, individuali e di gruppo, molto personalizzati e particolari. I primi anni sono un successo. Poi però arriva il Covid: i lockdown e le restrizioni azzerano il suo lavoro. “Organizzavo anche degli eventi in Vaticano con i vescovi francesi che andavano a incontrare il Papa”, ci rivela con una punta d'orgoglio. Lo stress acutizza una malattia, la nevralgia del pudendo, di cui soffre da quando ha 16 anni. Nel giro di qualche mese la sindrome la costringe su una sedia a rotelle. Non riesce più a camminare ed è costretta a convivere con dolori atroci. “Praticamente il mio corpo è diventato ipersensibile per cui il dolore si amplifica, soprattutto nella zona del bacino. Ormai riesco a fare solo pochi passi da sola”, ci spiega Marie che, oltre a prendere la morfina due volte al giorno, usa anche il tens, un apparecchio che manda degli impulsi elettrici per alleviare il dolore.

Nonostante le difficoltà, però, non si è data per vinta, e ha cercato di continuare a svolgere la sua professione. Ha fatto domanda all’Inps per ottenere il certificato di invalidità per poi richiedere il servizio di trasporto disabili del comune di Roma e poter continuare ad accompagnare i turisti nelle visite guidate. Ma dopo mesi nessuno si è ancora fatto vivo e lei per uscire di casa è costretta a spendere centinaia di euro di taxi. “Quelli per disabili sono pochi, quindi può capitare che arrivino dall’altra parte di Roma, e di conseguenza il tassametro è già di partenza a dieci o quindici euro”, racconta. L’alternativa è prendere i mezzi pubblici. Ma nelle sue condizioni non è un’impresa facile.

Le sue difficoltà le tocchiamo con mano accompagnandola da Monteverde Vecchio, il quartiere dove vive, fino al centro della città. In linea d’aria sono meno di quattro chilometri. Ma per Marie è un percorso a ostacoli. La carrozzina motorizzata inizia a ballare sui marciapiedi pieni di buche ed è costretta a fermarsi davanti alle auto parcheggiate sugli attraversamenti pedonali. “Spesso – ci dice - devo comportarmi come fossi una macchina, così ho messo dietro una pettorina gialla per evitare di essere investita”. Una volta raggiunto viale Trastevere per arrivare alla fermata del tram è costretta a passare sulle rotaie. La osserviamo dal marciapiede e vediamo le auto che sfrecciano e la schivano: “È l’unico modo che ho per salire sul tram perché dall’altra parte il marciapiede è troppo alto e non riesco a salire con la sedia a rotelle”.

Ma il momento più critico è quello dell’ingresso nella vettura. La pedana ovviamente non c’è, lei cerca di lanciarsi verso la porta di entrata ma le ruote si incastrano nello spazio fra il tram e la banchina. Devono intervenire almeno cinque persone per caricarla a bordo. Il mezzo è strapieno e un papà che spinge un bimbo in sedia a rotelle è costretto a rimanere fuori sotto il sole in attesa del tram successivo. “È sempre così, devo confidare nell’aiuto di qualche anima buona, altrimenti resto fuori”, ci confida mentre siamo finalmente dentro.

Una volta arrivati a piazza Venezia Marie è distrutta dai dolori e dallo sconforto. “È per questo che tante volte mi passa la voglia di uscire, ci rinuncio proprio, sia per il male fisico, sia per la vergogna che sono costretta a provare quando incontro i bus senza rampa per disabili e i tram senza pedana – rivela con dispiacere - Io ho 36 anni, vorrei continuare a lavorare, incontrare gli amici, invece così sono prigioniera”. E poi c’è l’aspetto economico: “Parte del lavoro lo svolgo da casa ma quando devo fare da guida ai gruppi devo uscire e se non esco non guadagno”. Finora l’unico sostegno arrivato dalle istituzioni italiane sono stati dei pasti consegnati dagli assistenti sociali. “Io – protesta Marie – sono residente qui e pago le tasse in Italia, mi aspettavo più attenzione e un sistema sociale di livello più alto”.

Del resto questa imprenditrice chiede soltanto di poter essere accompagnata nel tragitto da casa al lavoro: “È una cosa che in Francia ti autorizzano nel giro di 15 giorni”. Nel suo Paese d’origine anche le cure per questa malattia rara sono gratuite.

“Per questo – aggiunge – sono costretta a fare avanti e indietro, altrimenti qui curarmi mi costerebbe 2mila euro al mese”. “Qui si parla tanto di accoglienza – commenta laconica – ma agli stranieri che pagano le tasse non è garantito alcun servizio”.

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