Migranti, no dei vescovi ai Cie: 'Non siano centri di reclusione'

Anche la Conferenza Episcopale Italia scende in campo contro i Cie

Migranti, no dei vescovi ai Cie: 'Non siano centri di reclusione'

Anche la Conferenza Episcopale Italia scende in campo contro i Cie. Ora che il governo ha rispolverato l'idea di aprire un centro di identificazione ed espulsione in ogni regione, il segretario della Cei, monsignor Nunzio Galantino, ha fatto sentire la sua voce e ha lanciato l'allarme: "Per quanto riguarda la riapertura dei Cie mon possiamo non condividere il No affermato dalle realtà del mondo ecclesiale (Migrantes, Caritas, Centro Astalli) e della solidarietà sociale (CNCA), oltre che di giuristi (ASGI) impegnati da anni nella tutela e la promozione dei migranti".

Galantino ha precisato che il no dei vescovi italiani "è condizionato" e potrebbe cambiare "se questi dovessero continuare ad essere di fatto luoghi di trattenimento e di reclusione che, anche se con pochi numeri di persone, senza tutele fondamentali, rischiano di alimentare fenomeni di radicalizzazione, e dove finiscono oggi, nella maggior parte dei casi, irregolari dopo retate, come le donne prostituite, i migranti più indifesi e meno tutelati". Si tratta, ha aggiunto, di una sospensione di giudizio che tiene conto anche "dell'assicurazione successiva del Presidente del Consiglio e del Ministro dell'Interno sulla diversa natura, anche se non ancora precisata, dei CIE".

E ancora: "L' articolata posizione espressa dai sindaci italiani, la decisa richiesta del Capo della Polizia, uniti, però, al dubbio che tali Centri risultino necessari realisticamente nel caso di chi irregolare ha commesso un reato, per il quale dal carcere stesso o attraverso misure cautelari, seppur eccezionali, previste dalla legge, potrebbe venire poi direttamente espulso, mi fanno dire in questo momento un No condizionato".

La proposta sul permesso di soggiorno umanitario

I vescovi italiani chiedono poi "un titolo di soggiorno come protezione umanitaria o come protezione sociale a giovani uomini e donne che da oltre un anno sono nei CAS e nei centri di prima accoglienza", precisando che dovrebbe essere concesso a quanti "hanno iniziato un percorso di scolarizzazione o si sono resi disponibili a lavori socialmente utili o addirittura

già hanno un contratto di lavoro; a coloro che hanno potuto, speriamo presto, fare un'esperienza di servizio civile, ma anche a chi ha una disabilità o un trauma grave, è in fuga da un disastro ambientale o dal terrorismo".

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