Milano, terra di conquista: ​ecco la baraccopoli dei rom

Viaggio nella periferia milanese, sulle sponde del fiume Lambro, dove i nomadi vivono tra la sporcizia e il degrado

Milano, terra di conquista: ​ecco la baraccopoli dei rom

Siamo a Milano, nella città di Expo 2015. Percorrendo la tangenziale est che porta all'areoporto di Linate prendiamo lo svincolo per via Palmanova. Una semplice curva con vista sul fiume Lambro. Impossibile non vedere la schiera di baracche che sono state costruite ormai un anno fa sulla sponda destra, proprio a ridosso. Dietro quelle baracche ci sono distese di orti curati da alcuni pensionati che allevano galline e coltivano frutta e verdura. Con quale acqua? Meglio non dirlo. Ma per raggiungere la favela e incontrare gli abitanti bisogna conoscere il sentiero che fanno tutti i giorni. L'ingresso ufficiale e' quello di via Idro, a pochi metri dello storico campo rom sempre al centro di forti polemiche. Fermiamo la macchina e proseguiamo a piedi su una strada sterrata immersi nel fango e nei rifiuti di ogni genere. A circa trecento metri spunta il fiume e in mezzo alle frasche quelle baracche fatte di legno, cartone e plastica dove si vede salire del fumo. Significa che alle 8.00 di mattina qualcuno in casa c'é e quindi approfittiamo.

Riusciamo velocemente a raggiungere la sponda del fiume, quella sinistra non più agibile, dove esattamente un anno fa i rom sono stati sgomberati. Hanno fatto poca strada decidendo di trasferirsi sull'altra sponda. Questione di cultura, disperazione e scelte di vita. Ci accorgiamo in fretta che l'unica soluzione per attraversare e' quella di scavalcare il guardrail che dà sulla strada e percorrere un pezzo a piedi in mezzo al traffico. Ci accolliamo questo rischio. Ma tenete presente che questo tragitto e' quello che quotidianamente percorrono donne, bambini e uomini rom. Mentre ci avviciniamo uno di loro con la felpa verde (che sta rischiando la vita attraversando lo svincolo della tangenziale) avvisa tutti del nostro arrivo. La gente si barrica in casa e il fumo che usciva da un tetto improvvisamente scompare. Dopo tre giorni di pioggia tutto quello che vediamo davanti a noi e' impregnato di fango e umidità. Le casette sono rialzate da pezzi di legno massicci per evitare che entri l'acqua quando il livello del fiume sale. Ci sono porte con lucchetti e catenacci, cani che abbaiano e avvisano della nostra presenza, panni stesi e galline legate con dello spago alle palafitte. Una baracca dietro l'altra separate solo da montagne di rifiuti: poltrone impregnate di acqua, tappeti, passeggini, televisori, pentole e molto altro ancora. Regna un silenzio di tomba, ma sono tutti chiusi in casa. Sbirciamo in una casetta senza porta, forse l'unica, dove filmiamo fornelli con pentole, bottiglie d'acqua, salsa di pomodori, materassi e letti. E' impressionante vedere quanto queste baracche fatiscenti siano vicine all'acqua del fiume. Con la pioggia inevitabilmente il livello dell'acqua si alza ed è facile incontrare nutrie e topi che rendono la zona ancora più malsana. Le condizioni igieniche sono a dir poco scandalose. Non vediamo nessun bagno, in compenso ci sono ogni tanto dei gabbiotti creati con quattro bastoni e un lenzuolo. In lontananza tra gli alberi una donna e una bambina sono accucciate a fare i bisogni.

Proseguendo lungo il sentiero notiamo la distesa di orti che si estende esattamente dietro il campo rom e facciamo due chiacchere con Giuseppe, un signore in pensione che coltiva per passione insalata e pomodori. Un po' rassegnato ci dice che più volte hanno denunciato la situazione di degrado, polizia e carabinieri sono venuti per scattare qualche foto ma poi nessuno ha fatto nulla. Ogni tanto qualche gallina sparisce insieme a qualche verza. "Ci sono anche bambini" - fa notare. Pensare che questi orti non sono di proprietà, ma Giuseppe e gli altri appassionati hanno ricevuto quant'anni fa l'autorizzazione per coltivarli. Ma quale acqua useranno per coltivare proprio vicino al fiume? Vi lasciamo immaginare, anche se le soluzioni non sono molte. Giuseppe ha imparato a convivere con i rom "l'importante è rispettarsi, noi non facciamo niente a loro e viceversa...intanto sarà sempre peggio". Non molliamo perchè vogliamo in tutti i modi parlare con qualcuno di loro, ci lanciamo in un "Buongiorno" e magicamente si apre una piccola porticina. Una ragazza ci accoglie con un sorriso nella sua dimora.

E' rumena, ha 16 anni e mentre si raccoglie i capelli in una coda dice "Stiamo bene qui, ma non parlo bene italiano". Invece capisce e risponde a tutte le nostre domande e accetta di farci entrare in casa sua. Lo scenario è veramente surreale: in tre metri quadrati c'è un letto rifatto con materasso e coperrte, un bidone di latta con dentro della legna che brucia, un fornello ai piedi del letto e due tazze sporche dalla prima colazione e poi una torcia che funge da luce. Non solo, la giovane romena impugna una scopa e ci mostra come tiene tutto in ordine. Proviamo a fargli capire quanto sia pericoloso scaldarsi in quel modo, con il fuoco in un bidone posizionato a pochi centimetri dal letto. Niente da fare. Loro stanno bene così. Recuperano la legna in giro e superano le notti più dure. Ringraziamo e salutiamo. Stiamo per abbandonare il campo quando vediamo arrivare un uomo alto di corporatura robusta, si chiama Marcus. Lui ci racconta un po' di più e si sfoga: "Siamo in trenta ed è più di un anno che viviamo qua. Eravamo dall'altra parte ma la polizia ha buttato giù tutto e quindi ci siamo spostati. Non ci sono bambini qui, solo donne e uomini". Si sono fatte le 9.15 e Marcus è pronto per andare al suo semaforo dove ogni giorno chiede l'elemosina. "Non faccio nessun lavoro, non abbiamo una casa, non sappiamo dove andare, adesso vado a prendere la pasta per mangiare!". L'ultimo dei suoi pensieri poi è il fiume e "anche se il livello sale non c'è pericolo" - assicura. Idem per il fuoco con cui si scaldano nelle micro baracche. Poi prende la bici, scavalca e parte. Questo è lo scenario più squallido che presenta la Milano dell'Expo, quella che dovrebbe dare una buona impressione, una buona accoglienza, un buon biglietto da visita.

Certamente nella metropoli lombarda i campi rom non mancano, più o meno abusivi, più o meno organizzati, ma certamente tutti sulla terra ferma e lontani dai fiumi e dalle correnti d'acqua. Questa situazione invece chiamatela come volete: una fogna umana a cielo aperto o una piccola Venezia in quel di Milano.

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