Il vecchio assioma di Umberto Eco, "i social danno diritto di parola a legioni di imbecilli", è diventato celeberrimo. Tuttavia, in molti casi andrebbe forse riparametrato. Perché essere imbecilli non è una colpa. Essere vili sì.
Così, le decine e decine di persone non pensanti che da ieri si stanno scatenando su Twitter alla ricerca del commento più becero per "salutare" la tragica notizia della morte di Niccolò Ghedini, scomparso a 62 anni all'ospedale San Raffaele di Milano per via delle complicanze di una leucemia, altro non sono che l'ennesima riprova del fatto che i social siano dei contagiosi veicoli d'odio.
Perché chi mai si sognerebbe di commentare in pubblica piazza una notizia del genere con frasi tipo: "È morto #Ghedini e il mondo è un posto migliore", o "Almeno con le sue ceneri la natura farà qualcosa di utile", o ancora "A volte se ne vanno anche i peggiori". Per non parlare dei riferimenti alla sua carriera politica in Parlamento con Forza Italia e dei suoi stretti legami professionali e personali con Silvio Berlusconi: "Aveva già il record di assenze, oggi ha voluto strafare", "È morto Ghedini. Fuochino", "Da anni combatteva insieme a un male incurabile".
Una vergogna dopo l'altra. E gli esempi sarebbero infiniti. Si badi bene, per la proprietà transitiva, considerando l'odio per Ghedini figlio di quello per Berlusconi, è lecito immaginare che gli acuti commentatori abbiano background di sinistra, o grillino, o giustizialista in varie forme. Sono gli stessi, pertanto, che dopo qualche ora magari blaterano di diritti civili, di rispetto per il prossimo, di umanità e di superiorità morale.
Ma in generale, siccome l'idiozia non ha bandiera, forse di fronte a casi simili (non è la prima volta e purtroppo non sarà nemmeno l'ultima) bisognerebbe non già appellarsi all'Articolo 21 della Costituzione e alla libertà di parola, quanto piuttosto al fatto che, spesso sotto pseudonimi o con l'ausilio di account fake, le persone diano sfogo alla loro vera natura. La mancanza di qualsiasi freno inibitorio e del timore di un giudizio sociale "tangibile" permette ai singoli di mostrare al mondo il loro grado di pericolosità, e ci fornisce una consapevolezza in più del fatto che, magari in fila al supermercato o alla posta, magari nel posto di fianco al cinema o in un viaggio in ascensore, possiamo trovarci di fronte a sconosciuti totalmente estranei ai canoni minimi di civiltà, come lo sono il rispetto per la morte e per il dolore di chi resta.
Platone coniò una parabola, quella dell'anello di Gige che dona l'invisibilità, per spiegare che quando si sentono impuniti o impossibili da
perseguire, poiché appunto invisibili, gli individui si comportano secondo la loro vera natura. Ecco, i social sono un anello di Gige, capaci di mostrare il carattere di un uomo in modo persino più "reale" della vita reale.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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