
Oggi si uccide per pochi euro, rassegniamoci. Il mondo è cambiato anche in questo: perché è un mondo globalizzato, certo, perché ci sono tanti immigrati da Paesi in cui la vita vale poco (Africa e Sudamerica) ma anche perché, nella vita di giovani e adulti, si è spalancato un abisso sul quale psichiatri e sociologi potranno esercitarsi. Intanto il riflesso mediatico esprime stupore come ancora a Valbrembo (Bergamo) dove un italiano e un polacco hanno ammazzato un 57enne «per 50 euro» (titolo medio dei giornali) e beninteso, spesso è un incidente non pianificato, ma si tratta di capire quale sia l'incidente vero: che ci sia scappato il morto o che avesse solo 50 euro. Non che uccidere per parecchi euro sia meno grave, anche se una vecchia ordinanza della Dda di Catanzaro (2012) spiegava che assoldare un killer in Calabria costava da 1.000 a diecimila euro, come un'auto usata. Ma, oggi, basta una ricerchina su internet per scoprire che l'incidente (l'assassinio) sta diventando regola e, così pure, il pubblico sbigottimento: «Per pochi euro», «coltellata mortale per trenta euro», «per un debito di venti euro», «per un cellulare», «per delle cuffie da venti euro» e così via. Numeri allarmanti? In teoria no, perché gli omicidi in Italia continuano a essere in calo: a essere aumentata, però, è sicuramente la loro copertura mediatica, la loro inevitabile percezione e nondimeno il numero di colpevoli che vengono scoperti. In Italia abbiamo meno omicidi di ogni altro paese d'Europa (a parte Svizzera e Norvegia) e nel 1990 erano 3.012 mentre nel 2024, per dire, sono stati 319; è stravero che gli stranieri rappresentano circa il 9 per cento della popolazione e che risultano autori del 32 per cento degli omicidi, perché la globalizzazione è anche questo: l'accresciuta mescolanza con gente che viene da metropoli africane o sudamericane in cui il tasso di omicidi è altissimo, e in cui ammazzare «per 50 euro» è un po' più normale. Chi inciampa in un omicidio, o comunque lo commette, in questi casi non è condizionato dalla lettura di libri o di giornali o da inasprimenti delle pene, ma dalla scarsa contezza della gravità dei reati. Spesso, e vale in Africa come in Brasile, ma ormai anche negli Usa o in Europa, chi commette un grave crimine è semplicemente convinto che non lo beccheranno: non che gli daranno pochi anni di carcere. Questa ignoranza complessiva spiega perché l'aumento delle pene non incide quasi mai sul numero dei reati compiuti, e perché questo vale soprattutto per i reati particolarmente violenti associabili a disagio sociale ed economico. Ma prendersela con gli stranieri o buttarla sul sociologico, spesso, non può bastare: anche perché gli omicidi «per 50 euro» talvolta riguardano anche italiani, spesso giovani o addirittura adolescenti. E qui si fa più complicata, perché l'omicidio, in certa misura, continuerà a essere com'è sempre stato: uno specchio della società in cui stiamo vivendo, dunque qualcosa di frantumato, soggetto a cambiamenti continui in cui il «nuovo» può essere percepito come una minaccia, un meccanismo che lascia scoperti.
Oggi parlare di «crisi dei valori» non è più di destra né di sinistra: in entrambi i casi, il modello è quello dei vincenti in un mondo in cui è facile sentirsi dei falliti. Qualcuno, impallato al cellulare, cerca scorciatoie, e non distingue più tra reale e virtuale, tra la vita e un videogame, tra l'assassinio e un gioco elettrizzante.
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