Moutaharrik, chiesti 6 anni e mezzo per il pugile dell'Isis che voleva colpire il Vaticano

I pm milanesi hanno chiesto la condanna a 6 anni e mezzo di carcere per Abderrahim Moutaharrik, l'ex pugile marocchino campione di kickboxing, finito in manette lo scorso aprile con l’accusa di terrorismo internazionale

Moutaharrik, chiesti 6 anni e mezzo per il pugile dell'Isis che voleva colpire il Vaticano

Voleva colpire Roma e farsi esplodere, in nome di Allah, in Vaticano o all’ambasciata di Israele. Per il pugile marocchino, campione di thai boxe, Abderrahim Moutaharrik, finito in manette lo scorso aprile con l’accusa di terrorismo internazionale, dopo la maxi operazione congiunta antiterrorismo, portata a termine dalla Digos di Lecco, Varese e Milano, oggi i pm milanesi, Enrico Pavone e Francesco Cajani, hanno chiesto la condanna a sei anni e mezzo di carcere.

Una condanna analoga è stata chiesta dai pm di Milano per la moglie di Moutaharrik, Salma Benkarchi, mentre sei anni sono stati chiesti per il 23enne marocchino, Abderrahme Kachia, fratello di un foreign fighter dell’Isis morto in Siria nel 2015. Per Wafa Koraichi, invece, la sorella di Mohamed Koraichi, il marito della convertita italiana Alice Brignoli, i pm hanno chiesto una condanna a 3 anni, 6 mesi e 20 giorni. Tutti erano stati destinatari di un'ordinanza di custodia cautelare lo scorso aprile dopo l’operazione che ha portato all’arresto, tra la Lombardia e il Piemonte, di sei persone tra aspiranti terroristi e reclutatori del Califfato.

Per la Procura Moutaharrik, resta, quindi, l’uomo chiave dell’inchiesta. Ex campione di kickboxing, particolarmente noto in Svizzera, viveva a Lecco, si allenava in una palestra di Lugano ed era in contatto con i tagliagole dello Stato Islamico in Siria. Poco prima dell’arresto, aveva ottenuto dal connazionale Mohamed Koraichi, una tazkia, ovvero una "raccomandazione" per arruolarsi tra i miliziani del Califfato. Proprio per i territori sotto controllo dello Stato Islamico in Siria, Moutaharrik si era, quindi, deciso a partire, assieme a sua moglie, prima di essere fermato dagli uomini della Digos.

Poco prima dell’arresto, lo scorso 8 aprile, come scriveva il Giornale, uno “sceicco” chiedeva a Moutaharrik di compiere un attentato in Italia prima di partire per Raqqa, fornendogli, secondo gli inquirenti, pure tutte le istruzioni per portarlo a termine. “Sgozza (...), fai esplodere la tua cintura nelle folle dicendo 'Allah Akbar', colpisci, esplodi - recita il poema - ridà all'islam la sua gloria, i suoi battaglioni che hanno scosso le vicinanze e sono andati ad annientare gli infedeli senza cedere", si legge in alcuni stralci delle conversazioni intercettate tra il marocchino e i suoi referenti nel Califfato. A fare da intermediario tra l’aspirante jihadista e i vertici dell’Isis in Siria, infatti, secondo i pm, era proprio Koraichi, l’altro marocchino latitante dal gennaio 2015, quando lasciò Bulciago, in provincia di Lecco, per raggiungere la Siria insieme alla moglie, Alice Brugnoli, l’italiana convertita all’Islam, che ora, assieme al marito e ai suoi 3 figli piccoli, vive tra i tagliagole del Califfato con il nome di Aisha.

Subito prima dell’arresto, lo scorso aprile, il “pugile dell’Isis”, intercettato dalle forze dell’ordine, parlando con l’altro giovane marocchino radicalizzato, Abderrahmane Khachia, si dichiarava pronto a colpire l’Italia in nome di Allah. “Voglio picchiare Israele a Roma", diceva Moutaharrik a Khachia, minacciando di colpire la rappresentanza diplomatica del Paese in Italia, sottolineando pure di "avere contattato un soggetto albanese per procurarsi le armi”. Nel mese di marzo i due marocchini parlavano fra loro anche di un attentato in Vaticano.

“Questa Italia crociata, (sarò, ndr) il primo ad attaccarla, giuro, giuro che l'attacco, nel Vaticano con la volontà di Dio".

Il processo agli aspiranti jihadisti si è svolto con rito abbreviato davanti al gup, Alessandra Simion.

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