Il ministro degli Esteri Luigi di Maio l'ha definita una “decisione epocale”. Stiamo parlando del ritiro delle truppe Nato dall'Afghanistan, che secondo i piani di Bruxelles facenti riferimento alla linea stabilita dagli Stati Uniti, dovrebbe cominciare il prossimo primo maggio per concludersi l'11 settembre, data simbolo per la storia degli Usa e di quel Paese martoriato da decenni di guerriglia.
Quanto annunciato ieri è stato argomento di discussione in seno all'Alleanza già da mesi: l'amministrazione Trump aveva fortemente puntato sul ritiro delle truppe statunitensi dall'Afghanistan, e quella Biden ha preso in carico la questione limitandosi, però, a considerare tutte le opzioni possibili.
Nel vertice Nato dei ministri degli Esteri dello scorso marzo, infatti, la questione afghana è stata discussa tra i massimi vertici della diplomazia dei Paesi dell'Alleanza senza riuscire a stabilire ancora una linea ufficiale. “Tutte le opzioni sono sul tavolo” aveva detto il segretario generale Jens Stoltenberg, ma ribadendo che c’era una stretta collaborazione con gli Stati Uniti. Proprio su quest’ultimo punto era stato sottolineato più volte, nel corso della due giorni di colloqui e da rappresentati diversi, come ora tra Usa e Nato ci sia un cambio di atteggiamento nelle relazioni reciproche: Stoltenberg e il segretario di Stato americano Antony Blinken avevano più volte rimarcato come ci sia la volontà di aprire una nuova era tra Bruxelles e Washington dopo l’unilateralismo e “isolazionismo” dell’ex presidente Donald Trump.
Verso la chiusura della guerra più lunga
Le ultime ore hanno visto il chiudersi di un'era durata vent'anni. Si è cominciato con l'incontro bilaterale tra Blinken e il segretario Stoltenberg, dopodiché è toccato ai ministri degli Esteri delle nazioni che sostengono il massimo sforzo della missione Resolute Support: Stati Uniti, Germania, Italia, Turchia e Regno Unito. Successivamente la riunione con gli omologhi dell’Alleanza ed infine la conferenza stampa congiunta di Stoltenberg, del segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin e Blinken. Il ritiro delle truppe dall'Afghanistan sarà “coordinato, ordinato e deliberato”, ha spiegato la nota congiunta rilasciata dall'Alleanza. Quando in Italia si faceva sera è arrivato anche il commento del presidente Biden: “Non possiamo continuare a estendere il ciclo o aumentare la nostra presenza militare in Afghanistan sperando di creare le condizioni ideali per il nostro ritiro, aspettando un risultato diverso”. In sette mesi, quindi, 36 Paesi dovranno ritirare i propri contingenti militari che, insieme, assommano a 9500 unità, di cui l'Italia è il terzo più grande contributore.
La presenza italiana in Afghanistan
Il nostro Paese è presente in Afghanistan con 800 militari, 145 mezzi terrestri e 8 mezzi aerei, suddivisi tra personale con sede a Kabul e contingente militare italiano dislocato ad Herat presso il Taac-W. L'Italia ha garantito alla Nato ed alla Repubblica dell'Afghanistan il proprio supporto tramite il Train Advise Assist Command West (Taac-W) di Herat, che provvede all'attività di addestramento, assistenza e consulenza a favore delle istituzioni e delle Forze di Sicurezza locali concentrate nella regione ovest. Il personale delle Forze Armate italiane presente nell'area di Kabul ricopre prevalentemente incarichi di staff presso il comando della missione Resolute Support, il comando Special Operation Force e, con funzioni di supporto al suddetto personale, presso Italfor Kabul.
L'area di responsabilità italiana in cui opera il Taac-W è un'ampia regione dell'Afghanistan occidentale (grande quanto il Nord Italia) che comprende le quattro province di Herat, Badghis, Ghor e Farah abitate da circa 4 milioni di abitanti. La componente principale delle forze nazionali è costituita da personale dell'Esercito Italiano proveniente dalla Multinational Land Force imperniata sulla brigata Paracadutisti "Folgore", con un contributo di personale e mezzi dell’Aeronautica Militare, Marina Militare e Arma dei Carabinieri.
Insieme all'Italia, nella macroarea, sono presenti altre 8 nazioni (Albania, Ungheria, Lituania, Romania, Slovenia, Ucraina, Stati Uniti) che operano con l’obiettivo di contribuire all’addestramento, all’assistenza e alla consulenza in favore delle istituzioni afghane, impegnate nella creazione di adeguate condizioni di sicurezza e prosperità per la popolazione locale. Tali attività, ad esempio, riguardano l'addestramento alla bonifica del territorio dai dispositivi esplosivi improvvisati (gli Ied), che risulta particolarmente apprezzata dai locali.
Cosa succederà ora al nostro contingente?
L'Italia dovrà produrre un importante sforzo logistico per effettuare il ritiro delle proprie truppe. Cinque mesi sono un tempo relativamente breve per trasferire uomini e mezzi, ma non dovrebbero sussistere difficoltà particolari. Si tratterà di un'operazione complessa, che rappresenta anche una sfida per il nostro apparto logistico che dovrà mettere in campo tutte le sue risorse – facendo ricordo anche a vettori aerei civili e della Nato – per riportare in Patria il nostro contingente.
Sarà comunque necessario continuare a garantire la sicurezza delle truppe in un momento estremamente delicato come quello di un ritiro: in eventualità simili il “nemico” è più invogliato a colpire approfittando dell'indebolimento delle misure difensive. Diventa quindi fondamentale mantenere elevata la guardia, e lo strumento principale per farlo è l'attività di intelligence: i nostri Servizi saranno infatti chiamati a migliorare la loro rete informativa e a operare in maniera proattiva – con l'ausilio delle nostre Forze Speciali – qualora fosse necessario.
Con ogni probabilità la nostra intelligence continuerà la sua attività nel Paese se pur con compiti diversi. Risulta infatti che la cooperazione tra Italia e Afghanistan non cesserà: il ministro Di Maio ha infatti detto che ritirarsi “non vuol dire che lasceremo solo il popolo afghano, che continueremo a sostenere: significa cambiare approccio”.
Verso una nuova cooperazione
Un approccio che potrebbe essere bilaterale, se non verrà stabilita una nuova forma di cooperazione internazionale come quelle dell'Ue cessata nel 2016, la European Union Police Mission o Eupol, e che potrebbe riguardare proprio l'attività di addestramento delle Forze di Sicurezza locali, particolarmente apprezzata dal governo di Kabul proprio per l'approccio tutto particolare tenuto dalla nostre truppe in quel Paese, che hanno sempre ricercato il contatto e il dialogo con le comunità locali.
Proseguire nell'attività di addestramento però non può essere l'unico fine animante la futura possibile presenza italiana nel Paese: vanno mantenuti stretti legami commerciali in quanto in Afghanistan sono presenti e attive nazioni che stanno mettendo le mani su importanti risorse minerarie (principalmente litio) e Roma non può farsi estromettere o abbandonare il campo in un momento storico simile, dove si sta delineando una vera e propria “battaglia” sui minerali dell'industria ad alta tecnologia.
Termina così un ventennio di impegno italiano in Afghanistan (cominciato il 18 novembre del 2001) che ci è costato anche in termini di vite umane: sarebbe quindi un grave errore
considerare chiusa “la partita” ed abbandonare definitivamente quel Paese col quale, anche prima del nostro intervento militare, abbiamo sempre avuto un legame particolare anche grazie all'esilio romano (dal 1973) della famiglia reale afghana.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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