Navi romane (intatte) in fondo al Mar Nero

Gli esperti: conservate dall'assenza di ossigeno, 60 imbarcazioni di 2.500 anni fa

Navi romane (intatte) in fondo al Mar Nero

Nel Mar Nero è stato scoperto quello che potrebbe essere il più grande cimitero di navi del mondo: sessanta imbarcazioni di tutte le epoche, dal V secolo avanti Cristo all'Ottocento, sono state individuate, tutte un stato di conservazione definito dagli archeologi «sorprendentemente buono», sui fondali del tratto di mare che bagna la Bulgaria. Scafi romani, bizantini e ottomani alcuni dei quali con gli alberi in posizione, il carico in stiva e le attrezzature e addirittura le cime che sembrano pronte per essere utilizzate. Il tutto a profondità che variano dai 93 metri del fondale sul quale si trova una nave bizantina del Decimo secolo agli oltre 2mila metri di quelli dove sono finite le imbarcazioni che sono state individuate e ispezionate dai Rov (Remotely operated vehicle), quei robottini palombari semoventi dotati di scanner, laser, sonde, telecamere e altre sofisticatissime apparecchiature.
Il responsabile del progetto, il britannico Ed Parker, è legittimamente entusiasta e parla «di anfore, ceramiche e altri oggetti e soprattutto imbarcazioni mai viste prima se non sui mosaici». E continua, spiegando che delle navi sono stati già realizzati modelli in 3D: «Legno, metalli e altri materiali non sono danneggiati e alcuni relitti sono in condizioni davvero sconcertanti per quanto sono buone. Siamo convinti che questa scoperta ci possa raccontare molto della storia navale di diversi imperi».
Il luogo esatto del ritrovamento è tenuto segreto ma non dovrebbe essere molto distante dal porto di Sozopoli, l'antica Apollonia Pontica fondata dai greci intorno al 600 avanti Cristo, a lungo fra le città più prospere del Mar Nero, nel Medioevo contesa da Genova e Venezia e oggi località balneare che ha acquisito rilevanza religiosa in quanto ospita le reliquie di San Giovanni Battista scoperte in un monastero nel 2010.
La scoperta del grande «cimitero» subacque è opera dei ricercatori del progetto internazionale Map (Black Sea Maritime archeology project) al quale partecipano le Università di Southampton (Regno Unito) e del Connecticut (Usa), due istituti bulgari (il Centro di archeologia subacquea di Sozopoli e l'Istituto nazionale di archeologia dell'Accademia delle scienze del Paese balcanico) e la giovane (data di nascita 1996) Università svedese di Södertörn. Bulgari a parte, i partner del Map hanno scelto il Mar Nero come ambiente dove concentrare la propria attività di ricerca proprio per le sue peculiarità: ovvero bassa percentuale di ossigeno e scarsissima presenza di microrganismi. Caratteristiche che garantiscono un buono stato di conservazione a tutto quanto finisca sui suoi fondali.
E gli archeologi del Map hanno esplorato anche il tratto di costa di Ropotamo e a due metri e mezzo di profondità hanno trovato i resti, anche quelli ottimamente conservati, di un insediamento della prima età del bronzo che fu abbandonato quando il livello del mare si è alzato.
Insomma, un grande successo di una missione internazionale alla quale non prendono parte istituzioni italiane.

Perché? Perché nonostante gli oltre 7.400 chilometri di costa del nostro Paese che con tutta probabilità pullulano, come si dice, di relitti di ogni epoca nelle nostre Università l'archeologia subacquea è ancora una cenerentola.

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