"Quella casa un porto di mare". Nel palazzo divorato dal virus

C'è preoccupazione nella palazzina del centro storico di Fiumicino dove la famiglia bengalese proveniente da Dacca e risultata positiva al Covid-19 condivideva l'appartamento con alcuni connazionali. I residenti denunciano: "Lo abbiamo saputo solo dai giornali"

"Quella casa un porto di mare". Nel palazzo divorato dal virus

Si sentono abbandonati ad un destino incerto, i residenti della palazzina di Fiumicino dove nelle scorse settimane si è registrato un nuovo focolaio Covid. Li vedi passare con aria circospetta, come se si stessero guardando le spalle da qualcuno. Arrivati all’ingresso, infilano con cautela la chiave nella serratura e spingono il portone aiutandosi con il piede. Non prendono l’ascensore, non toccano il corrimano, si tengono a distanza dalle pareti. Non c’è più nessuno che si ferma a chiacchierare nell’androne, cercano tutti di arrivare il prima possibile al sicuro nel proprio appartamento.

Un protocollo fai-da-te che seguono scrupolosamente ormai da quasi una settimana. "Cerchiamo di proteggerci come possiamo", dice allargando le braccia uno di loro. La psicosi è scattata il 24 giugno scorso. "Qualcuno ha letto dai giornali che il ragazzo del Bangladesh che vive al primo piano era positivo al Covid, e la voce si è sparsa in tutto il condominio", ricorda Stefano Costa, consigliere comunale di Fratelli d'Italia che abita lì da più di vent’anni. "Con il passare dei giorni abbiamo scoperto che in quell’appartamento erano tutti infetti", prosegue il nostro interlocutore. Viene interrotto dalle grida di un anziano affacciato dalla finestra: "Sono rimasto da solo, la badante non si fida più a venire a casa, vogliamo sapere cosa sta succedendo".

Nessuno qui ha idea del perchè non sia stato effettuato lo screening su tutti i condomini. Non se lo spiega neppure Mauro Natalini, amministratore della palazzina. Le notizie gli sono arrivate tramite il passaparola, ancora oggi non ci sa dire con certezza se il focolaio interessi o meno la palazzina che amministra. "Non ho avuto nessuna conferma ufficiale né nessuna indicazione della Asl", ci spiega. Insomma, per quel che ne sa lui, i casi Covid potrebbero essere solo il frutto della fantasia di qualche condomino troppo apprensivo. Eppure, da quanto risulta al Giornale, è proprio in quella palazzina di mattoni rossi a due passi da via della Torre Clementina che alloggiava la famiglia del Bangladesh arrivata da Dacca il 20 giugno a bordo di un aereo che ha fatto scalo a Doha.

I tre, marito, moglie ed un bimbo di un anno, hanno passato i controlli aeroportuali senza problemi. "Non mostravano sintomi e così sono stati messi in isolamento fiduciario come tutti i cittadini che provengono da Paesi extra-Shengen", ci avevano spiegato dalla Asl Roma 3. Ed è stato proprio durante il periodo di confinamento che la famigliola ha infettato almeno due connazionali con cui condivideva l’appartamento. Uno di questi è il lavapiatti del bistrot Indispensa, che adesso è ricoverato allo Spallanzani in condizioni non gravi. È stato lui a veicolare il virus al di là delle mura domestiche, dando il via a nuove catene di contagio.

"Cinque casi Covid nello stesso condominio e non esistono protocolli speciali per il palazzo, mi sembra assurdo", osserva Costa. "È tutto lasciato al senso di responsabilità delle persone", denuncia. In molti in questi giorni si stanno recando comunque al drive in di Casal Bernocchi per sottoporsi ai tamponi, come ci raccontano due cittadini bengalesi che incontriamo all’esterno della palazzina. Uno dei due risiede con la sua famiglia nello stesso palazzo, ma in un appartamento diverso da quello finito al centro delle preoccupazioni del quartiere, l’altro invece dice di essere un amico. "Io non abito qui ma ci passo spesso", spiega. Quanti come lui frequentavano l’alloggio dove il virus si è diffuso? È questa la domanda che assilla gli inquilini.

"Quei due appartamenti sono un porto di mare, chi ci dice non ci siano in giro soggetti positivi che sono gravitati da qui e non sono stati tracciati?", si chiede accigliato Costa. "Noi quel viavai lo avevamo già segnalato tempo fa all’amministratore, erano pure scattati degli esposti, eppure nessuno è mai venuto a fare delle verifiche", continua. Dalle autorità però arrivano rassicurazioni. Il primo a fornirle è il sindaco Esterino Montino, che abbiamo raggiunto telefonicamente. "Il focolaio - assicura - è stato circoscritto grazie all’intervento tempestivo del servizio sanitario, che ha lavorato notte e giorno per tracciare i contagi". "Non serve fare i tamponi a tutto il condominio", fanno eco dalla Asl Roma 3.

"La maggior parte dei casi Covid - spiegano - non parla italiano e quindi non ha avuto rapporti con gli altri condomini, inoltre abbiamo appurato che

nessuno di loro usava l’ascensore, e comunque adesso sono stati tutti spostati". "Si tratta di una psicosi ingiustificata, c’è da preoccuparsi di più - concludono - delle resse che si creano sul lungomare il finesettimana".

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