È una domenica qualunque e nessuno immagina di viverla senza rete. Abituarsi alla paura è una follia. È che a volte ti sembra davvero difficile riuscire a calcolare il rischio.
Manca poco a mezzogiorno e appena 300 metri ti separano dalla stazione di arrivo. Il Mottarone è lì, bello e maestoso, come un principe in mezzo ai laghi. Non ci pensi mai a quello che può accadere. Stresa è villeggiatura e sa di Grand Tour e di ville ottocentesche. È una striscia sul golfo del lago Maggiore e guarda le isole Borromee, la più grande si chiama Madre. Stresa è l'inizio di un viaggio che ti porta su, fino alla vetta del monte. Qui fino al 1970 c'era una vecchia ferrovia con i vagoni che andavano a elettricità e ondeggiavano lenti e incerti.
Poi venne la funivia e non c'era da avere paura. Nel 2014 sono cominciati i lavori di manutenzione. Le cose invecchiano ed è meglio tenerle a bada. Curarle. Sostituzione dei motori, quadri elettrici, trasformatori e magnetoscopia sulle funi, una sorta di esame a raggi x per verificarne la tenuta. Le cabine erano state smontate, ricondizionate e rimontate con impianto acustico e videocamera di sorveglianza a bordo. I lavori sono costati 4 milioni e 400 mila euro, finanziati dalla Regione Piemonte, dal Comune di Stresa, e dalla società di gestione. Nel 2016 si ricomincia. Tutto a posto. Non c'è appunto da avere paura. A dicembre 2020 altri controlli sulle funi. La funivia funziona tutti i giorni dell'anno. Non è stagionale, non è solo turistica. È quotidiana. È come prendere il treno, l'autostrada, il viadotto. È qualcosa che fai senza interrogarti troppo. Se poi è festa ti viene solo da lasciarti alle spalle le fatiche della settimana. Cosa può accadere? «Gli impianti a fune- dicono i tecnici- sono tra i mezzi di trasporto più sicuri in assoluto».
La paura forse è proprio questo: percepire il rischio lì dove non te lo aspetti.
È domenica e ti viene voglia di respirare. Ti chiedi se pure quassù bisogna tenere la mascherina. È chiaro che sì. Non si sa mai. Che ti costa essere prudente? Fa sempre un po' impressione guardare giù, ma le funivie non sono mica una magia. È tutto pensato. È tecnica. È calcoli. È ingegneria. La cabina non è neppure piena. C'è spazio e si può stare lontani un metro uno dall'altro. La capienza massima è quaranta persone. Si è di meno, in quindici. Ci sono anche due bambini.
Poi tutto viene giù. È un sibilo che sembra un urlo. Viene giù quello che è stato costruito per stare su. Viene giù la vita, si spezza il destino, si schianta la cabina con a bordo i passeggeri che hanno preso il biglietto sbagliato e i morti sono quattordici. Un bambino, due anni, non ce l'ha fatta. Il cuore ha ceduto. L'altro, ancora più piccolo, è molto grave. Che è successo? Un cavo, proprio nel punto più alto, si è staccato e non ha funzionato neppure il sistema di sicurezza che avrebbe dovuto impedire comunque alla cabina di finire a terra. No, non sono due fatalità. Non puoi maledire il cielo. È che i meccanismi che dovevano salvare le vite non hanno funzionato. È il segno, tragico, di una sciatteria. Il gestore della funivia è frastornato: «Noi le manutenzioni le abbiamo fatte».
Allora ti chiedi: perché? Perché una gita, una vacanza, una villeggiatura, finisce in questo modo? Perché ora la «normalità» ti fa paura?
La risposta la darà chi la deve dare. Ci sarà un processo e probabilmente sarà lungo. I controlli, ripetono, ci sono stati. Ora bisogna capire come sono stati fatti.
Quello di cui si può parlare adesso è un'inquietudine che si ripete. È la stessa di quando è crollato il ponte Morandi. C'è qualcosa in questa terra che si è perso. È la cura. È lo scrupolo. Non è il momento questo di puntare l'indice, però il sospetto che qualcosa nelle manutenzioni non sia così accurato si fa forte. Non è una garanzia. È come se in molti, moltissimi, lavori si fosse perso quel senso del dovere, quell'attenzione, perfino quel pessimismo che ti fa pensare al peggio e ti suggerisce di non lasciare nulla alla fortuna. Forse in pochi fanno troppe cose o magari si è troppo distratti, tra telefonate, mille video da vedere, stanchezza, mancanza di concentrazione o menefreghismo, fatto sta che troppo spesso si lavora male. Il lavoro è irresponsabile e non ti salva la vita. Non ti fidi più, di nulla. Non ti fidi della solita strada e ancora di meno di quella che non conosci. Non ti fidi di quello che vedi e di quello che non vedi, il tangibile e l'invisibile. Non ci fai pace, non te lo spieghi.
Da ogni parte non fanno che parlare di sicurezza. È la parola evocata e sbandierata, eppure non ci siamo mai sentiti così insicuri. Scettici e sfiduciati e come compagna di viaggio la solita paura. Tutti andiamo in giro con le spalle scoperte.
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