Non uccideteci con i codicilli

Collega Conte, abbiamo una richiesta. Lei non pare molto sollecito verso i produttori, imprenditori, commercianti e operai. Ma almeno non li ostacoli e, soprattutto, non frantumi l'anima agli italiani con codicilli spagnoleschi

Non uccideteci con i codicilli

Collega Conte, abbiamo una richiesta. Lei non pare molto sollecito verso i produttori, imprenditori, commercianti e operai. Ma almeno non li ostacoli e, soprattutto, non frantumi l'anima agli italiani con codicilli spagnoleschi, ora che Lei da oggi ha «concesso» loro di uscire, poco, timidamente, ma di uscire. Essere assillati stando in casa è fastidioso, ma esserlo dovendo frequentare mezzi pubblici per cercare di lavorare, sarebbe insopportabile. Scriveva Curzio Malaparte che «qualsiasi governo ha il diritto di costringere» i cittadini «a condizione però che li possa e li sappia costringere». Che li possa lo concediamo, anche se le forze dell'ordine sono state distolte da più importanti compiti. Ma che il governo li sappia costringere c'è fortissimamente da dubitare.

Per governare gli italiani bisognerebbe conoscerli, anche se un suo predecessore non finito benissimo riteneva che fosse, più che difficile, inutile (intendiamo governarli). E allora occorre sapere che noi italiani incorriamo, anche nei confronti della coercizione, in un ossimoro, cioè in una contraddizione vivente. Siamo selvaggi e barbari, come scriveva Malaparte, ferocemente individualisti, ma, una volta che abbiamo appreso, magari con la paura, una lezione, l'abbiamo introiettata. E allora la applichiamo, con elasticità e buon senso. Siamo dei disciplinati anarcoidi. Purtroppo raramente i politici che ci hanno governato l'hanno compreso. Quasi tutti, dall'Unità in poi, hanno provato a irregimentarci secondo un abito, spesso estero: volevano che diventassimo ora come i francesi, ora come gli inglesi, ora come i tedeschi. Poi il fascismo volle che fossimo super italiani, ma anche la sua opera di disciplinamento, nonostante i mezzi trasfusi, non ha lasciato molte tracce. Meglio fecero i democristiani che, depositari della millenaria saggezza cattolica, sapevano che il legno storto non si può piegare, che l'«italiano nuovo» non ci sarà mai e che l'eterno italiano non è cosi demoniaco come molti lo dipingono. Silvio Berlusconi aggiornò tale vocazione che oggi, mi pare, hanno fatto loro anche Matteo Salvini e Giorgia Meloni.

Gli italiani vanno governati per quel che sono e non per quel che dovrebbero essere. Al contrario, la sinistra, e una tecno-burocrazia legata ad un'idea giacobina di «Europa», con il suo mito del «vincolo esterno», atto a rendere migliori gli italiani sradicandoli anche a colpi di austerità, ha cercato e sta tuttora cercando di trasformare l'italiano. E per farlo utilizza la cara, vecchia, vocazione questurina del potere, da Crispi a oggi, passando per Mussolini, con uno Stato dalle leggi draconiane, che entra nell'intimo dei cittadini, producendo effetti però spesso comici: i Dpcm sui «congiunti» e sugli «affetti stabili» e le imperdibili Faq del sito del governo hanno certo fatto cambiare mestiere agli scrittori di satira politica. Se n'è forse reso conto il Viminale, con la circolare che ieri invitava a «puntare sul senso di responsabilità dei cittadini». Gli italiani sono infatti responsabili e di buon senso: ma quando se ne va, e il governo, o qualsiasi altra autorità, comincia a sfruculiare dentro le loro vite, e comunque a dare fastidio, a frantumare loro l'anima, ecco allora prevalere la nostra fantasia, nel violare le leggi o nel contestarle.

Allora s'alza il volto anarcoide. E se per Leo Longanesi tutte le rivoluzioni da noi «cominciano in strada e finiscono a tavola», il grande scrittore romagnolo sapeva che il «sangue caldo» della sua regione è, in realtà, quello di tutta l'Italia.

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