Il Nord è la vittima dei pasticci giallorossi

La questione è lì. Grossa come una casa. La si esorcizza, la si rimuove, ma torna sempre a galla

Il Nord è la vittima dei pasticci giallorossi

La questione è lì. Grossa come una casa. La si esorcizza, la si rimuove, ma torna sempre a galla: c'è un pezzo di Paese, quel Nord che ha sempre rappresentato la locomotiva di ogni rinascita, quelle piccole e medie imprese che sono da sempre il motore del nostro sistema produttivo, che nella stanza dei bottoni oggi non c'è. Proprio ora che sarebbe essenziale la sua presenza, visto che va progettata la rinascita italiana. Non si tratta solo di un'assenza di uomini, ma soprattutto di culture, di esperienza, di storia, di pragmatismo da impresa. Basta leggere in controluce la filosofia che ispira i provvedimenti approvati nella Fase 1 e nella Fase 2 dell'epidemia: assistenziale o un compendio di Alice nel paese delle meraviglie. Sotto sotto lo ammettono tutti, anche nella maggioranza. «È inutile nasconderselo si sfoga Mauro Marino, renziano del Senato , non c'è il Nord. Ho parlato con alcuni industriali del Piemonte e mi hanno detto che Bonomi non è l'ariete della Confindustria, semmai media, perché la maggior parte degli industriali dalle nostre parti è ancora più spietata con il governo. E, di fronte a quest'assenza, Conte fa finta di niente, si adatta con lo spirito dei professori universitari. Solo che il Paese non può adattarsi come lui. Ci sarebbe bisogno d'altro: se Berlusconi proponesse un governo di unità nazionale, un minuto dopo Renzi sarebbe con lui». Sempre a Palazzo Madama, anche il piddino Salvatore Margiotta, sottosegretario alle Infrastrutture, offre un'immagine del suo sconcerto scuotendo il capo: per lui il problema non è se sopravvive questo governo, ma se resta in piedi il Paese senza quel pezzo che è l'architrave della sua economia. Una constatazione che si porta dietro una provocazione: «Se Salvini non fosse stato così scemo e avesse assunto la posizione del Cav, chi avrebbe potuto dire no al suo ingresso nel governo? Ci ha fatto il secondo piacere dopo quello del Papeete».

Siamo all'assurdo dell'assurdo: tutti vedono il limite, ma nessuno affronta il problema. Così, di fronte all'impotenza della politica, c'è chi dall'esterno esercita un ruolo di supplenza. Richiama tutti alla realtà. Il dialogo tra il presidente della Confindustria, Bonomi, e il premier, agli Stati generali dell'economia, ne è l'immagine. Il primo elenca tutti gli interventi da mettere in campo: dal pagamento dei crediti che le imprese hanno maturato con lo Stato, alla cassa integrazione. E Conte risponde con una frase che è la quinta essenza della banalità: «Volate più alto». Se il premier avesse dato questa risposta dal vago sapore aristocratico, incipriato e indossando una parrucca, beh, avremmo avuto di fronte il ritratto di Luigi XVI a Versailles. Anche Conte, come il suo predecessore dal sangue blu, non si accorge che cosa sta accadendo fuori dalla reggia: da qui a sei mesi è il monito di Confcommercio 240mila imprese chiuderanno, la maggior parte al Nord, visto che al Sud scarseggiano. Un'ecatombe occupazionale. Di cui lui, il premier, sembra essere all'oscuro.

Eppure anche nei 5stelle c'è chi annusa aria di tempesta. Seduto su un divano adiacente la buvette di Palazzo Madama, il grillino Andrea Cioffi, ex sottosegretario allo Sviluppo economico, prevede: «Il casino scoppierà ad ottobre, quando la gente sarà davvero incazzata. E con chi se la prenderà? Con il governo se non lo salveranno i soldi dell'Europa. Noi dobbiamo essere rivoluzionari da un lato e pragmatici dall'altro. Dobbiamo ricordare le origini e non diventare democristiani come alcuni miei compagni che sono al governo». Passa proprio in quel momento il ministro 5stelle del Welfare, Nunzia Catalfo: «Sono 4 mesi che giro per l'epidemia, speriamo che la gente me lo riconosca». Cioffi le spegne la speranza: «Non ti illudere, la gente non sarà contenta. Ti crocifiggerà perché chiederà sempre di più».

Quelli che conteranno, infatti, saranno solo i risultati. E che risultati potranno esserci, se la spina dorsale della nostra economia è emarginata nelle decisioni? Anche se i media non ne parlano, cominciano ad esserci le prime sassaiole di protesta a Milano. Con chiunque parli ti racconta che il Nord ribolle. E fa paura. «Il fronte del Nord ammette l'ex reggente del Pd, Maurizio Martina è decisivo». Anche l'ipotesi accarezzata qualche settimana fa di un esecutivo guidato dall'attuale ministro della Difesa, il lombardo Guerini, al di là della sua praticabilità, dimostra che nel Pd l'argomento è sentito. Già, perché in questa situazione come fai a governare senza o contro il Nord? No, non si può: l'insofferenza di Bonomi ne è la fotografia.

Un'insoddisfazione che riguarda pure l'opposizione: i mondi di Bonomi vogliono contare; vogliono essere rappresentati nella stanza dei bottoni; sono concreti al punto da chiedere l'uso dei fondi del Mes; la protesta fine a se stessa non gli interessa. Un'insoddisfazione che riguarda, per motivi diversi e con gradualità diverse, entrambe le formule dell'opposizione, quella del Cav e quella dei sovranisti. E la cosa paradossale è che i primi a dire che sono proprio i limiti dell'opposizione a salvaguardare il governo, sono i beneficiati. «Quasi quasi mi proporrei ironizza il ministro per i Rapporti con l'Europa, Amendola come spin doctor per Salvini. L'opposizione dovrebbe sfidare il governo sull'innovazione, sulle riforme. Delle cose dette in Senato da Salvini, per assurdo, la più efficace è stata quella che chiedeva di cambiare il codice degli appalti con la normativa europea. Questi sono i siluri che potrebbero affondare Conte».

Insomma, tante contraddizioni, che hanno come conseguenza un dato che non fa male al governo, ma al Paese: nel progetto di rilancio manca il motore, manca il Nord. Un limite che Conte esorcizza agli Stati Generali, appunto, guardando le stelle. Più o meno quello che fanno al Quirinale, a parte qualche «monito» di circostanza che dura lo spazio di un mattino. «Il problema sostiene il forzista Andrea Cangini è che il Quirinale fa finta di niente rispetto a quest'assenza di rappresentanza in un governo che dovrebbe affrontare la più grave emergenza della storia recente. Si limita a puntellare Conte. Mentre il Cav ha quattro posizioni che si fa fatica a mettere insieme sul piano logico: no al governo delle 4 sinistre; no al governo di unità nazionale; no alle elezioni; responsabili di fronte a Conte, che però guida il governo delle 4 sinistre. E, invece, quasi come missione, dovrebbe proporre un nuovo governo appoggiato da tutti, ma non lo fa». Discorsi che nell'area moderata si ripetono. «Mattarella si inalbera Gaetano Quagliariello concede a questa maggioranza quello che non dovrebbe concedergli. La verità è che in questa crisi, mentre c'è l'Europa, non c'è il Paese. Rischiamo di non potere sfruttare gli aiuti che ci arriveranno per colpa della politica. Tutta. Eppure, se il Quirinale volesse, in autunno potrebbe pilotare una crisi per dare vita ad un esecutivo con una maggioranza più ampia, più in sintonia con l'Europa».

E, invece, si va avanti a spizzichi e bocconi, con un governo che anche ieri al Senato non è caduto per un'inezia: non mancano

solo le idee, ma pure i numeri. «Qui è la denuncia di Emma Bonino ci sono violazioni dei regolamenti parlamentari e della Costituzione tutti i giorni. Un giorno o l'altro mi arriverà un sms laconico: il Parlamento è chiuso».

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