La nuova strategia del "falso allarme"

Funziona il trucco di evocare la crisi che non c'è

La nuova strategia del "falso allarme"

Situazione grave, ma non seria. Sera di martedì, in un ristorante del centro di Roma, Settimio all'Arancio. Siedono attorno a un tavolo alcuni deputati di Forza Italia, da Cattaneo a Perego, da Martino a Ruggeri, e uno del Pd famoso per una partecipazione al Grande Fratello, Mattia Mor. Ad una certa ora, ad un altro tavolo, arriva pure il premier Giuseppe Conte, insieme al suo capo di gabinetto. Essendo una compagnia di buontemponi, quelli che sulla carta dovrebbero essere dei parlamentari dell'opposizione, tra il serio e il faceto, fanno intendere al premier che sono tutti per lui. Domandano a Conte, che ha l'aria affranta per la rivolta dei grillini contro il suo «sì» alla Tav: «Avere a che fare con Salvini e Di Maio è dura?». Risposta: «Cazz...! Lasciamo stare». Poi Martino, ridacchiando, perde i freni inibitori: «Presidente, siamo con te. Siamo i nuovi responsabili. Domani, nel dibattito, a un tuo cenno, ti applaudiamo. Scateniamo l'inferno. Tanto tra di noi c'è sia la destra, sia la sinistra». Il premier risponde alla battuta con il viso serio di chi crede all'aiuto, o fa finta di crederci. «Vi sono grato. Vi apprezzo molto. Il mio dinamismo? Un modo per porre fine al protagonismo di altri».

Situazione grave, ma non seria. Nel Transatlantico di Montecitorio ancora c'è chi crede alla «crisi» e alle elezioni ad ottobre. Seduto su un divano Antonio Milo, ex parlamentare azzurro, ma, soprattutto, intimo amico di Denis Verdini che, per vie traverse, è diventato il Machiavelli di Salvini e fraterno amico di Enzo Scotti, ex ministro Dc e rettore della Link University, cioè l'ateneo a cui si abbeverano i 5stelle, legge le carte alla legislatura. «A ottobre spiega si vota. Denis auspica le urne: lui, più che con Salvini, parla con Giorgetti, che le vuole. E Enzo (Scotti, ndr) mi faceva notare che in un'intervista Di Maio ormai è passato alle offese. E lui, che è un Professore della politica, è sicuro che si va alle urne». Solo che il Professore nell'occasione era stato un po' sbadato: il Di Maio sguaiato intervistato dal Foglio, non era il vicepremier, ma Marco Di Maio, deputato del Pd e sosia di Giggino.

Appunto, la situazione è grave ma non seria. Il duello tra leghisti e grillini, tra Salvini e Di Maio, e le relative minacce di crisi, infatti, vanno avanti da otto mesi. Come pure le congetture sulle elezioni anticipate. Semmai di «grave» c'è altro: e cioè che qualcuno, tra giornali e politici, ancora ci credeva. Una tale caparbietà nel sostenere una tesi che un veneto purosangue avvezzo alle logiche della Capitale, come il forzista Piergiorgio Cortelazzo, traduce in romanesco: «So' de coccio!». Il paradosso, poi, è che i «creduloni» siano proprio quei politici all'opposizione o quei giornali che per linea editoriale sono avversari di Salvini. Dario Franceschini, ad esempio, ancora ieri diceva: «Ci vogliono 48 ore prima che la finestra delle elezioni sia chiusa». Solo che apri e chiudi la finestra, siamo arrivati ad agosto con un unico risultato: il duello e l'ipotetica «crisi» hanno pagato in termini di consenso, potrà sembrare assurdo, proprio il governo. Il duello perenne e la «crisi» che non c'è, hanno dato modo ai gialloverdi di rappresentare il tutto e il suo contrario: il governo e la sua alternativa; la maggioranza e l'opposizione; lo Stato e l'anti-Stato; addirittura gli Stati Uniti e la Russia. E, pur spostando l'equilibrio, di moltissimo, in favore della Lega, a conti fatti, dal 49,7% che i gialloverdi hanno avuto nelle urne del 4 marzo, siamo passati al 50,6% delle europee e al 55% dei sondaggi di oggi.

Ovviamente, il meccanismo, per alcuni perverso, tiene la situazione sul filo del rasoio, ma l'equilibrio precario - ormai dovrebbe essere un'analisi condivisa - è il «modus vivendi» di questa alleanza, la sua condizione naturale. Anche ieri è successo di tutto. Conte ha difeso il suo sì alla Tav di fronte alle rimostranze dei grillini. I 5stelle hanno disertato l'aula del Senato quando il premier è intervenuto sul «Russia-gate» al posto di Salvini. Alla fine la regia comunicativa ha dato modo alle forze di governo di «essere» e «non essere d'accordo». Il premier si è incontrato con Salvini prima di parlare in Senato. Poi, nell'aula di Palazzo Madama, ha spiegato che chi vorrà cacciarlo dovrà votargli contro in Parlamento. Per i più maliziosi una mezza minaccia: quel giorno Conte potrebbe entrare in aula con una maggioranza e magari uscirne con un'altra. Così, a fine giornata, il suo portavoce, Rocco Casalino, ha sentenziato: «Non vedo all'orizzonte crisi». Mentre Catello Vitiello, eletto nelle liste grilline e poi cacciato perché massone, «motore» di quei parlamentari «responsabili», pronti ad appoggiare qualsiasi governo pur di evitare le elezioni, si è abbandonato al sarcasmo: «I veri responsabili sono i grillini non c'è più bisogno di noi».

Là verità, però, è che le due anime dei pentastellati, quella «governativa» e quella movimentista, si stanno sempre più dividendo. All'indomani delle elezioni europee Davide Casaleggio in un sms a uno dei capi del movimento che si lamentava per la disfatta, rispondeva: «Colpa delle scelte politiche sbagliate. Non puoi stare contro la Tav quando tutto il Paese la vuole». Il movimento delle origini, però, la pensa in tutt'altro modo. Beppe Grillo medita l'addio. In pubblico le sue critiche al movimento sono felpate. In privato, «no»: «Not in my name», non nel mio nome, è la frase con cui liquida i «sì» a Salvini. Parla di «frattura insanabile con Di Maio». Medita di disertare la festa del decennale del «grillismo» a ottobre a Napoli. Solo che nei 5stelle in ebollizione nessuno vuole votare, per ora. «Le elezioni ad ottobre osserva il sottosegretario al Mef, Alessio Mattia Villarosa sono impossibili. Chi approverebbe la legge di bilancio? Con le urne ad ottobre non ci sarà un governo in grado di assolvere in tempo quel compito. Per cui chi ci porta al voto, si prenderebbe la responsabilità dell'esercizio provvisorio e dell'aumento dell'Iva. Solo che a noi la Tav ha fatto male, lo dice un siciliano a cui non importa un fico. Per cui da gennaio in poi le elezioni sono probabili». «Tutto va secondo i piani di Salvini osserva il forzista Gaetano Quagliariello, sempre più ammaliato dal vicepremier leghista -: se i 5stelle si spaccano, i governativi potrebbero diventare gli alleati strutturali della Lega. Le elezioni? A giugno».

Insomma, saltato l'Autunno si pensa alla Primavera. Alla presenza di un dato: la «crisi che non c'è» ha creato più problemi all'opposizione che alla maggioranza.

In un Pd diviso, in cui si spara non su Salvini, ma su Renzi che vuole parlare contro Salvini, tutti sono scontenti. «Non abbiamo né una coalizione, né un leader» è il lamento «sottovoce» di Franceschini. Mentre Renzi già pensa ad altro: «In un partito che non mi fa parlare cosa ci sto a fare?!».

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