È una questione di forza: noi in Occidente siamo abituati a considerare i rapporti politici determinati da motivi di morale e di opportunità, e dalla prudenza quando è coinvolto il tema della violenza e il linguaggio dell'incitamento porta alla strage di innocenti. Ma per il mondo islamico estremo non è così, e per la Turchia di Erdogan è una grande opportunità storica usarne le armi ideologiche più oscure e micidiali per diventare il principe della rinascita dell'impero Ottomano. Il presidente Erdogan si pregia di entrare nei libri di testo come l'uomo che ha rovesciato la magnifica funzione storica inventata da Kemal Ataturk per la Turchia: essere il ponte fra il vasto mondo islamico, un miliardo e ottocentomila persone, e quello ebraico-cristiano occidentale per un mondo migliore.
L'uso come di un'ascia bipenne dell'ideologia più estrema, incarnata dalla sua organizzazione l'Alleanza Musulmana di cui è il capo, fa parte della dottrina che muove Erdogan e lo porta a essere, di fatto, il migliore punto di riferimento del mondo terrorista. La nuova strage di Nizza è una strage ideologico-religiosa, e un polo certo ne è l'incitamento di cui Erdogan ha bombardato la Francia e Macron, che non è casuale, ma strategico, anche se certo non possiamo accusarlo di terrorismo in modo diretto.
Tre spazi definiscono l'azione di Erdogan: quello interno, per cui la Turchia, in grave sofferenza economica e strutturale, soffre restrizioni dittatoriali sulla stampa, le idee, le donne, la libertà di religione (i cristiani sono scappati quasi tutti); quello internazionale, per cui Erdogan ormai fa una nuova guerra armata al mese in zone diverse, trasportando la sua furia egemonica sul terreno della Ummah, ovvero dei luoghi fisici che nella sua mente e in quella dell'Islam estremo, compreso l'Isis e anche gli ayatollah sciiti, devono alla fine essere di dominio islamico assoluto, con l'istituzione universale della Shariah; e infine quello del gioco più infido, quello del gioco che coinvolge i gruppi terroristi, dal Al Qaeda, all'Isis a Hamas agli Hezbollah, con incontri, spostamenti, finanziamenti, armi.
É difficile ignorare che Erdogan abbia minacciato direttamente e ripetutamente la Francia e Macron in questi mesi della molteplicità di attacchi terroristici, mentre le sue guerre con l'esercito sul territorio si allargavano in Siria, Armenia, Libia, Grecia, Cipro, con attacchi e promesse di punizione anche a Israele e ai Paesi moderati. La minaccia, anche quando non espressa in maniera tanto scomposta come quando il presidente turco si è avventato su quello francese perchè ha difeso la libertà di opinione prima e dopo la mostruosa decapitazione, è un'arma preferita, e con quella che Erdogan fronteggia l'Europa: se non fate come dico io, apro i confini ai profughi siriani assiepati qui da me, e sapete bene che posso portare molti nuovi problemi. Lo può ben dire, avendo regolamentato con cinismo il passaggio di larghi gruppi di terroristi diretti in Siria a incrementare le fila della guerra dell'Isis.
Erdogan accanto al suo disegno di egemonia islamica che sul versante sunnita affianca quello sciita dell'Iran, usa l'arma dell'incitamento: le parole sono più che pietre, sono coltelli, sono mitra. Il 13 settembre una manifestazione a Istanbul avvertiva Macron e i francesi che avrebbero «pagato un caro prezzo» per la difesa di Charlie Hebdo
. E con questo bagaglio di paura che Erdogan, che ha dimenticato la storia disumana e anche schiavista dell'Impero Ottomano, seguita a giocare le sue carte, mentre però si disegna un fronte islamico col piano Abraham che indica già nel nome la volontà di accordo religioso, la pace degli Emirati, del Bahrain e del Sudan con Israele.
Contro questo
rischio di pace Erdogan spara e muove l'odio nelle coscienze. Ma oggi ha molteplici oppositori anche nel suo campo, cosa che nel passato non accadeva. Dato che l'Europa ha paura, vediamo se l'Islam moderato ne avrà di meno.
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