Il nuovo miraggio della sinistra

Il nuovo miraggio della sinistra

Forse quello che più ha capito come sono andate le cose in Emilia Romagna è proprio Stefano Bonaccini. Mentre lì al vertice del Pd parlano di ritorno al bipolarismo, sognano una legge elettorale maggioritaria, lui offre una lettura diversa, magari più attenta, più complessa. «La verità osserva - è che ogni situazione è particolare, l'Emilia non è Lombardia. Di certo c'è solo che siamo in una fase di scomposizione e ricomposizione dello scenario, degli schieramenti, della geografia politica. Io ho vinto all'insegna della trasversalità. Ho preso un dieci per cento sul mio nome, ho preso anche voti che sulla carta erano del centrodestra. Penso, ad esempio, che la presentazione della lista grillina mi abbia aiutato. Chi può dire che quel 4,8%, in assenza di una lista 5stelle, non sarebbe finito nel centrodestra? La verità è che la realtà è complessa e non so se i vecchi poli la rappresentino più davvero!».

Altro luogo, altro ragionamento. Davanti alla buvette di Montecitorio Maurizio Martina, predecessore di Nicola Zingaretti alla segreteria del Pd, fa un bagno di realismo rispetto al trionfo emiliano. «Un ritorno al maggioritario?» è la domanda retorica su cui insorge: «Ma non esiste proprio! Sarebbe come assecondare i desideri dello sconfitto Salvini. Ormai lo schema della legge elettorale è assodato. Anche perché se non vuoi che ciò che resta dei 5stelle vada dall'altra parte, non puoi aggredirlo, costringerlo». Ragionamento che ritrovi anche nelle congetture degli alleati, a sinistra come a destra. «Ma quale maggioritario! Ma sono matti!», sentenzia il ministro della Sanità, Roberto Speranza, di Liberi e Uguali: «Sarebbe il modo più semplice per far risorgere Salvini. Eppoi qualcuno di noi deve mettersi in testa che l'Emilia non è l'Italia». «Chi ha in mente di far saltare l'accordo sul proporzionale non va da nessuna parte», taglia corto Matteo Renzi. Il più netto poi lo trovi nel governo, nel capo delegazione del Pd, Dario Franceschini. «I soliti geni è la battuta intrisa di sarcasmo che regala ai suoi -: Salvini fa tutto questo can can per impedire il ritorno al proporzionale, tu lo batti e poi teorizzi di accontentarlo. Ma su!».

Li chiamano miraggi, nel gergo scientifico effetti ottici. Si verificano quando tu immagini di vedere qualcosa che non esiste nella realtà. E in politica possono avere conseguenze devastanti. Salvini, ad esempio, quest'estate scommise sull'idea che una crisi di governo lo avrebbe portato direttamente alle elezioni: ne paga ancora le conseguenze. E lo stesso rischio corrono i vari Zingaretti, Bettini, Orlando, cioè il vertice del Pd che ad urne calde ha immaginato di scorgere nel successo in Emilia, terra rossa per eccellenza, un ritorno al bipolarismo di un tempo e ha teorizzato, almeno in privato, un ritorno al maggioritario. Un bipolarismo impostato sul duello tra un Salvini, leader di uno schieramento destra-centro, e uno Zingaretti capo riconosciuto del Polo sinistra-centro. Già solo l'idea fa un po' sorridere, perché al segretario del Pd manca le phisique du role del leader del maggioritario. «Sarebbe come far correre contro Salvini osserva la maga Alessandra Ghisleri una sorta di torero Camomillo, il matador tranquillo. Roba da zecchino d'oro».

Ma a parte le dissertazioni sulle caratteristiche dei leader, è evidente che un «polo», suggellato da una legge elettorale maggioritaria, finirebbe per stare stretto ai 5stelle. E i primi a saperlo sono proprio quei grillini, come i ministri Patuanelli e D'Incà, più propensi a stringere un'intesa di prospettiva con il Pd. Proprio loro, conoscendo la natura del movimento, sono convinti assertori della legge proporzionale, la considerano una condizione «sine qua non» per proseguire nel rapporto con il Pd. Perché con il mondo pentastellato, al di là di ciò che ne è rimasto, puoi anche stringere un'alleanza, ma non puoi dare l'impressione di garantirla con le catene. «L'intesa sul proporzionale non si tocca» avverte la sottosegretaria all'Economia, Laura Castelli. È una questione antropologica. «Non parlerei di collocazione, ma di temi», è l'altolà che lancia il capo politico del movimento Vito Crimi. Tant'è che Patuanelli è pronto proprio per dimostrare di non essere il custode del patto a lasciare il ruolo di capo delegazione al governo al ministro della Giustizia Bonafede. Figurarsi, quindi, se i grillini possano accettare l'idea di una legge maggioritaria che per scegliere le alleanze li costringa ad entrare in una gabbia. Sarebbe il modo più semplice per mettere a repentaglio l'attuale governo. Lo hanno compreso anche i piddini più filo-governativi, come il rappresentante al Copasir Enrico Borghi, che lo ha scritto addirittura nella chat del gruppo alla Camera: «Chi vuole il maggioritario vuole la morte del Pd. E se i consigli vengono da opinionisti come Mieli o Damilano è meglio fare il contrario».

Appunto, l'unica garanzia dell'alleanza è il governo. Lo sa bene il premier Conte che, per evitare sorprese, ha fissato per il 29 marzo il referendum sulla diminuzione dei parlamentari, per cui, a questo punto, anche in caso di crisi non si andrebbe al voto, ma il Quirinale garantirebbe la celebrazione del referendum. E ha dato il via libera alla stagione delle nomine (ieri il Consiglio dei ministri ha nominato i nuovi direttori di Agenzia delle Entrate, dei Monopoli e del Demanio): altro cemento potente per tenere insieme qualsiasi maggioranza. Poi Conte ha parlato di «fronte contro Salvini», una differenza non solo lessicale rispetto al Polo di cui ha parlato Zingaretti perché più rispettoso delle diverse identità. In fondo garantire il governo non potrebbe fare altrimenti: la maggioranza, con le tante anime presenti al suo interno, somiglia più ad un coro di voci diverse che non al Polo nell'accezione di Zingaretti. Basta pensare ai propositi di Renzi: «Il risultato emiliano ci aiuta, noi aumenteremo il nostro profilo riformista, stresseremo il governo sul piano dei contenuti. Saremo intransigenti sia sul tema della prescrizione, sia su quello della revoca delle concessioni. Vedremo cosa farà il Pd, se seguirà noi o i grillini. Ciò non significa che puntiamo a mettere in crisi il governo, il punto lo faremo dopo le elezioni regionali di maggio».

Appunto, un coro di voci diverse che spesso stona. Per tenerle insieme il premier dovrà saper mediare e avrà bisogno di fortuna. Tutte cose che non gli mancano: Conte è concavo e convesso di natura e l'appoggio della Dea bendata non gli è mai mancato. Due settimane prima di ricevere l'incarico di formare il governo, andò dal suo camiciaio, Fabrizio Bracci al ghetto. Gli ordinò 19 camicie bianche. Se le misurò sconsolato davanti allo specchio: «Mi è venuta la pancetta».

Dopo una settimana ne ordinò altre 19 bianche, suscitando la curiosità del suo sarto: «Avvocà gli chiese - perché tante camicie bianche, si mette a fà il direttore d'orchestra, il maitre?». «Tra una settimana saprai fu la risposta -: sono nato con la camicia».

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