Quella nuvola di goccioline in cui il virus resiste per 3 ore

Il Sars-Cov-2 resiste in aerosol per tre ore. Potenziale contagio in presenza di alcune procedure in ambito sanitario. Ma dipende dalla dose infettiva del virus in aerosol

Quella nuvola di goccioline in cui il virus resiste per 3 ore

Il nuovo coronavirus può resistere in aerosol fino a 3 ore. Lo aveva rivelato uno studio, pubblicato sul New England Journal of Medicine, che ha analizzato la presenza del Sars-CoV-2 sulle varie superfici. In questa ricerca sperimentale, però, gli aerosol erano stati generati in laboratorio, il che non corrisponde a una situazione naturale.

L'aerosol, a differenza delle goccioline prodotte da starnuti e colpi di tossi, principali veicoli del virus, è composto da minuscole particelle che restano sospese nell'aria. Le goccioline viaggiano per qualche metro e poi cadono a terra, perché troppo pesanti, mentre l'aerosol resta sospeso in aria ed è capace di raggiungere distanze maggiori. Uno studio pubblicato su Jama, infatti, aveva rivelato come le goccioline create da uno starnuto potessero raggiungere gli 8 metri di distanza. "Non creiamo però troppa agitazione- aveva precisato il virologo Fabrizio Pregliasco -perché è vero che gli studi indicano una potenzialità di dispersione ambientale maggiore, ma parliamo sempre di ambienti chiusi e contesti ospedalieri. All'aperto non ci sono pericoli".

Della stessa idea era anche il presidente dell'Istituto superiore di sanità (Iss), Silvio Brusaferro, che aveva precisato: "In questo momento non abbiamo evidenze per dire che il virus circola nell'aria". I principali canali di trasmissione, infatti, restano il contatto e il "droplet" (le goccioline prodotti da startuni e colpi di tosse). Ma il rischio di un "contagio per via aerogena era stato ipotizzato e dimostrato in alcuni contesti particolari e in presenza di alcune procedure soprattutto in ambito sanitario". Queste evidenze, citate dal presidente dell'Iss, potrebbero indicare la trasmissione del virus nelle stanze chiuse e affollate, dove il ricambio d'aria è difficile.

In ogni caso, sembra che la dispersione in aereosol sia possibile in circostanze in cui vengono eseguiti particolari trattamenti di supporto ospedalieri, che generano le piccole goccioline che costituiscono la nuvola. Si tratta dei casi in cui i pazienti vengono intubati, sottoposti a trattamento nebulizzante o alla ventilazione. "Allo stato attuale delle conoscenze sappiamo che il coronavirus si trasmette prevalentemente attraverso le goccioline nell’aria- ha spiegato a Repubblica l'epidemiologo dell'Iss, Paolo D'Ancona-Negli ospedali con molti pazienti sottoposti a ventilazione meccanica, potrebbe disperdersi anche con aerosol".

Come precisa Costantino Troise, presidente nazionale di Anaao-Assomed, "in tutte le manovre nella sale di rianimazione in cui si produce aerosol, il contagio avviene anche per via aerea". Per questo, senza adeguati ricambi d'aria, c'è un maggiore rischio di infezione nelle stanze ospedaliere. "Però- aggiunge Troise- la diffusione più frequente è quella attraverso le goccioline. La verità è che noi non sappiamo ancora tutto su questo virus".

Nonostante l'ipotesi del contagio tramite aerosol, molto dipende dalla concentrazione del virus nella nuvoletta di goccioline, che determina la possibilità o meno di infezione. "Se stai respirando aerosol col virus, non sappiamo quale sia la dose infettiva che dia una probabilità significativa di essere contagiati", ha precisato l’esperto di malattie infettive Jamie Llloyd-Smith.

In uno studio dell'ottobre 2019, che aveva indagato la trasmissibilità dei virus via aerosol, i ricercatori avevano sottolineato "la significativa trasmissione" ospedaliera della Sars e della Mers: gli aerosol, precisavano gli scienziati, "potrebbero eventualmente amplificare una via di infezione già consolidata per questi virus". Si tratta, per il momento, di ipotesi, che andranno verificate con studi più approfonditi, per confermare o smentire il ruolo dell'aerosol nella trasmissione del Covid-19.

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