La Corte di Cassazione ha deciso sul delitto di via Poma. Raniero Busco, ex fidanzato di Simonetta Cesaroni, non è colpevole: è stato definitivamente assolto dall’accusa dell’omicidio. Lo ha stabilito la I sezione penale della Cassazione che, dopo tre ore di camera di consiglio, ha respinto il ricorso presentato dalla Procura di Roma e dai familiari della Cesaroni, massacrata con 29 coltellate il 7 agosto 1990. "È la fine di un incubo", ha commentato a caldo Busco.
Il professore Franco Coppi, difensore di Busco, si dice "estremamente soddisfatto" per il verdetto. "Del resto - afferma il penalista, che ha difeso l’imputato assieme all’avvocato Paolo Loria - non poteva che essere così: la sentenza d’appello era perfettamente motivata. Ora spero - ha concluso - che prendano il colpevole di questa barbara uccisione di una giovane ragazza. Come cittadino esprimo fiducia nella giustizia".
"Siamo delusi. Resta un delitto senza colpevole. Restiamo convinti che c’erano elementi importanti a carico di Busco. Aspettiamo la sentenza e poi vedremo", dice l’avvocato Federica Mondani, legale di Paola Cesaroni, sorella di Simonetta.
ll sostituto pg di Cassazione, Francesco Salzano, al termine della sua requisitoria aveva chiesto di annullare la sentenza di assoluzione pronunciata in appello nei confronti dell’imputato - che in primo grado era stato condannato a 24 anni di reclusione - e disposto un processo d’appello-bis. Carenze motivazionali sulle "lesioni al seno" riscontrate sul cadavere della ragazza. Sono quelle che il pg Salzano ha evidenziato: "Il perito non era esperto in materia - ha rilevato il magistrato - e ha omesso di esaminare il calco dentale ed escluso l’ipotesi del morso. Su questo punto "la sentenza d’appello non regge, non appare convincente". "Nonostante lo sforzo motivazionale contenuto nella sentenza di assoluzione, non posso non sottolineare una certa disomogeneità nel percorso decisionale: c’è stata una svalutazione, una sottovalutazione e una parcellizzazione degli indizi a carico dell’imputato".
Salzano ha aggiunto che in proposito la motivazione della sentenza di appello, che ha escluso la presenza del morso, "non è convincente e viola i principi del contraddittorio e quelli della prova scientifica". Il rappresentante della procura della Suprema Corte, inoltre, ritiene che erroneamente i giudici dell’appello hanno ritenuto che "Simonetta non si sia cambiata gli indumenti intimi il giorno del delitto, così come attestato dalle serene dichiarazioni di sua madre, e che le tracce di Dna di Brusco trovate sul reggiseno e sul corpetto possano risalire ai giorni precedenti il delitto". In conclusione il pg ha detto di ritenere necessario un nuovo collegio di esperti, che rivaluti nuovamente le foto dell’escoriazione sul seno della Cesaroni e la loro compatibilità con il calco dentale di Busco.
La difesa di Busco
Raniero Busco è "innocente e ha subito una grande ingiustizia con la condanna in primo grado", ha sottolineato l'avvocato Franco Coppi nella sua arringa. E parlando della sentenza della Corte d’Assise d’Appello di Roma, che aveva assolto con formula piena il suo assistito, Coppi aveva detto che deve essere confermata in quanto "ineccepibile ed esemplare". A partire dalla deduzione secondo la quale non ci sarebbe stato nessun morso sul seno sinistro di Simonetta e che, in ogni caso, non sarebbe da attribuire a Busco. Sulla questione del morso, il penalista invita la Cassazione a riflettere su quanto sottolinea l’attuale letteratura scientifica: "La prova del morso - ha sottolineato Coppi - può essere anche il nemico della giustizia naturale. La sentenza impugnata ha analizzato infatti una corrente scientifica più recente per dire che la prova del morso è scientificamente inattendibile". Per Coppi "l’uccisione di Simonetta Cesaroni ha tutte le caratteristiche di un delitto commesso da uno psicopatico che l’ha colpita con 29 coltellate soprattutto nelle zone erogene, e Busco non aveva né il profilo psicologico né il movente per fare questo".
"La sentenza di secondo grado - ha osservato Coppi nella sua arringa in Cassazione - è esemplare: un perfetto equilibrio tra sapere giuridico e sapere scientifico". Coppi si sofferma anche sulla questione del Dna trovato sia sul reggiseno che sul corpetto della ragazza.
Il professor Coppi sostiene che "vennero rilasciate il 4 agosto, tre giorni prima del delitto. E ne è prova inequivocabile il fatto che il Dna è anche sul corpetto: un morso non può superare corpetto e reggiseno e produrre una tale lesione sul seno".
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