Le Ong non fermano le stragi: il lato oscuro dei porti aperti

Il Mediterraneo continua a essere un cimitero. I naufragi non si fermano: le Ong provocano l'aumento delle partenze

Le Ong non fermano le stragi: il lato oscuro dei porti aperti

Non si arresta il fenomeno dei viaggi della speranza nel Mediterraneo. Sono in migliaia i migranti che in questa prima parte dell’anno sono riusciti ad arrivare sulla terraferma ma, allo stesso tempo, sono stati in numerosi coloro che non ce l’hanno fatta perdendo la vita in mare durante la traversata. Analizzando i dati che emergono sul sito di Iom emerge che sono 384 le persone morte a seguito di naufragi nel mar Mediterraneo.

Ad assumere particolare rilevanza è il dato che riguarda l’area centrale del Mediterraneo: qui rispetto all’area occidentale che ne conta 51 e all’area orientale che ne conta 71, vi sono 262 morti, quasi il totale. Sono numeri che si contrappongono a quelli che registrano gli arrivi nelle rispettive aree. Nell’area occidentale si contano 8.453 arrivi, in quella orientale 10.408, mentre in quella centrale 6.943. Proprio in quest’ultima area, dove il dato relativo agli arrivi è stato minore seppur importante, emerge il maggior numero di morti a seguito di naufragi. Un’area, quella del Mediterraneo centrale, non nuova a simili tragedie: lo scorso anno ad esempio, si era aperto con uno dei più gravi naufragi degli ultimi tempi con 117 persone annegate a largo della Libia in un periodo, quale quello di gennaio, generalmente più tranquillo sul fronte migratorio.

Un campanello d’allarme per il 2019, che ha comunque visto una diminuzione del numero delle vittime rispetto all’anno precedente di più di mille unità: in tutto il 2018 sono decedute nelle traversate infatti 2.299 persone, 1.885 nel 2019. A preoccupare è però adesso il 2020, per via di un primo parziale aumento nel trend delle vittime.

I naufragi più recenti

L’ultimo naufragio in ordine di tempo è quello avvenuto lo scorso 21 giugno al largo di Tripoli, in Libia. A denunciare quanto accaduto era stata Sea Watch attraverso Twitter. Un numero rimasto impreciso di vittime e una foto che, in modo forte, denunciava quanto avvenuto. Pochi giorni prima, ovvero il 13 giugno, vi era stato un altro naufragio, sempre in Libia. Come denunciava Alarm Phone su Twitter, qui 15 persone sarebbero morte a seguito del ribaltamento di un barcone. Il 10 giugno invece la “strage delle donne”. In questo caso è accaduto che un barcone con una cinquantina di migranti a bordo, partito dalla Tunisia, da Sfax per la precisione e diretto a Lampedusa, poco dopo la partenza, si è ribaltato. Dopo le prime segnalazioni arrivate alla Guardia Costiera tunisina, i soccorritori hanno raggiunto il luogo del naufragio recuperando 34 corpi: 22 erano di donne.

A questi drammatici episodi si unisce anche quello denominato la “strage di pasquetta”. In quel caso, secondo le testimonianze raccolte dal team Medu ( Medici per i Diritti Umani) dai superstiti giunti a Pozzallo la mattina del 12 aprile, dei migranti erano partiti il 9 aprile dalla Libia arrivando nelle acque maltesi due giorni dopo. Lì sarebbe accaduto, sempre in base alle testimonianze, che due gommoni sarebbero stati dirottati su autorizzazione delle autorità maltesi verso le coste della Sicilia, mentre per un terzo barcone in difficoltà, vi sarebbe stata un’omissione di soccorso. Questo avrebbe causato la morte di 12 persone e il rientro di 51 superstiti nelle prigioni libiche. A fianco di questi numeri bisogna aggiungere poi quelli relativi alle vittime delle imbarcazioni fantasma delle quali non è rimasta alcuna traccia.

morti in mare

Il confronto con gli altri anni

Come detto, in questa prima parte del 2020 le vittime nel Mediterraneo centrale hanno superato abbondantemente quota 200. Questo era accaduto anche lo scorso anno, quando in un articolo de IlSole24Ore ad aprile si parlava di almeno 205 vittime fino a quel momento conteggiate nel tragico computo redatto dall’Unhcr. Ma c’è una differenza rispetto a 12 mesi fa: il 2020 è stato infatti contrassegnato dal lockdown per via dell’emergenza coronavirus. Tra marzo ed aprile lungo la rotta che dalla Libia e dalla Tunisia conduce verso le nostre coste, sono partite meno imbarcazioni rispetto ai mesi precedenti. Marzo specialmente è stato l’unico mese, da settembre 2019 in poi, in cui si è assistito ad un calo su base annuale degli sbarchi.

Nonostante tutto questo, il numero delle vittime ha sforato la soglia dello scorso anno o forse addirittura è aumentato. In prospettiva, sul fronte delle vittime in mare anche questo 2020 rischia di essere decisamente negativo. Così come sottolineato su IlTempo nei giorni scorsi, in tutto il 2019 poi le vittime nel Mediterraneo centrale sono state 358: se già a giugno, quando ancora non è stata raggiunta la stagione decisiva sull’aumento dei flussi migratori, si è andati oltre quota 200 allora entro la fine dell’anno il dato potrebbe nascondere un ulteriore aumento degli episodi luttuosi.A confermare questo trend è anche una statistica resa nota dall’Iom relativa alle settimane di giugno: rispetto allo stesso mese del 2019, il numero di morti in mare sarebbe aumentato di almeno il 20%.

In generale, andando a guardare anche i dati degli anni precedenti, si può percepire come ad un aumento dei flussi migratori corrisponda anche un maggior numero di morti. Non a caso, consultando le tabelle dell’Oim, l’Agenzia dell’Onu che si occupa dei migranti, l’unico anno in cui in tutto il Mediterraneo, comprendendo quindi non solo la rotta centrale bensì anche quella orientale ed occidentale, si è andati oltre la soglia delle cinquemila vittime è stato il 2016. L’annata cioè del numero record di approdi, soprattutto lungo la rotta del Mediterraneo centrale. Subito dopo, di pari passo con una diminuzione degli sbarchi, sono diminuiti anche i morti: 3.139 nel 2017, 2.299 nel 2018 e 1.885 nel 2019, anno dove si è registrata la più importante contrazione dei dati relativi agli approdi.

dati Iom

Perché si continua a morire tra la Libia e l’Italia

È proprio nella rotta del Mediterraneo centrale che si registra il maggior numero di vittime. In poche parole, chi parte dalla Libia o dalla Tunisia ha molta più probabilità di morire rispetto a chi salpa dall’Algeria, dal Marocco o dall’Egeo: “Si tratta di un problema legato, in primo luogo, alla natura stessa della rotta – ci spiega un ammiraglio della nostra Guardia Costiera – La navigazione, specialmente dalla Libia, comprende molte miglia in più e l’attraversamento di tratti di mare molto pericolosi”. Dunque, quei trafficanti che dalla Tripolitania ogni settimana fanno imbarcare centinaia di migranti per spingerli verso l’Italia sanno bene di mettere a grave rischio la vita di chi paga loro migliaia di Dollari per partire.

“Ma c’è anche un’altra variabile da considerare – ha proseguito l’ammiraglio – Dal 2017 in poi il contesto è variato. Da quando è entrato in vigore il memorandum con la Libia, i trafficanti sanno bene che devono mettere in mare mezzi in grado di spingersi più in profondità nel Mediterraneo. Dunque si usano imbarcazioni meno capienti, ma più in grado di andare oltre determinati perimetri, a volte riescono anche ad arrivare direttamente a Lampedusa. Alle organizzazioni criminali conviene che le imbarcazioni siano localizzabili, da soccorritori ufficiali e privati, quando la Guardia Costiera libica non può più agilmente intervenire”.

Per soccorritori privati si intendono le navi delle Ong i cui equipaggi, come dimostrato da uno studio tedesco reso noto nei giorni scorsi, vengono contattati a volte direttamente da chi sta a bordo dei barconi sì meno capienti ma anche più pericolosamente esposti verso il cuore del Mediterraneo.

“Le cause possono variare ma alcune di esse sono legate a cattive condizioni meteorologiche, ma anche all’uso di barche poco degne da parte dei trafficanti – ha dichiarato a ilGiornale.itTarik Arkaz, dell’ufficio comunicazioni dell’Unhcr in Libia – nonché alla mancanza di sufficienti missioni di salvataggio o imbarcazioni di salvataggio che operano nel Mediterraneo centrale”. Quest’ultimo poi ha lanciato la preoccupazione relativa al fatto che l’emergenza coronavirus attualmente in Libia possa incidere sul numero delle partenze dalla Libia: “A causa delle limitate opportunità di lavoro nel paese – ha proseguito Tarik Arkaz – della mancanza di accesso ai servizi sanitari e di istruzione e delle attuali restrizioni alla circolazione dovute alla pandemia di COVID-19, migliaia di rifugiati e migranti stanno rischiando la vita in mare alla ricerca di sicurezza e un futuro migliore”.

Dunque nuovi flussi migratori potrebbero interessare il tratto di mare tra la Libia e l’Italia, con il rischio di nuovi eventi luttuosi: “La stagione estiva è di solito il momento più trafficato per tentativi di attraversamento a causa del miglioramento del tempo – ha aggiunto Arkaz – Anche se nel frattempo la situazione in Libia è molto fluida. Il conflitto è diminuito di intensità, il che significa che rifugiati e migranti potrebbero essere in grado di ritrovare lavoro per sostenere le loro famiglie, ma questo è incerto. La reale portata del fenomeno migratorio nel 2020 non possiamo ancora prevederla”.

Una politica che non funziona

Dietro ogni numero c’è una vittima, dunque una vita che non c’è più, un affetto strappato ai propri cari. Ecco perché è impossibile soffermarsi soltanto sul lato “freddo” dei numeri. C’è anche un risvolto politico da evidenziare: apparire più accoglienti non diminuisce affatto la possibilità che tra la Libia e l’Italia un migrante vada incontro alla morte. Il governo giallorosso ha iniziato ad avere, già da settembre, un atteggiamento molto più conciliante con le Ong, le quali si sono sempre viste recapitare alla fine il via libera all’ingresso nei nostri porti. Questo nonostante l’emergenza sanitaria ed il lockdown.

Eppure, come si è avuto modo di constatare, le morti non sono diminuite ed anzi si potrebbe andare verso un loro drammatico aumento. Le stragi nel Mediterraneo sono continuate e proseguono purtroppo ancora oggi. Il fatto che ventimila migranti, come riportato dagli ultimi report dei servizi segreti, siano pronti a salpare dalla Libia non è un buon segno: vuol dire che molte persone potrebbero essere esposte ai pericoli del mare e continuare a far accrescere la caselle relative alle vittime di questo 2020.

Fin quando ci sarà anche un solo trafficante pronto a lucrare sulla pelle di altre persone, i rischi di nuove stragi e nuovi naufragi sono dietro l’angolo. L’unica vera politica è forse quella di evitare che altri barconi salpino dal nord Africa con la prospettiva di affondare durante una delle più pericolose traversate.

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