«C i sono posti in cui la verità e il parere della maggioranza sono due concetti sovrapponibili: una misteriosa geografia del consenso». Usiamo le parole della sua Accabadora perché esistono poche penne felici come quella di Michela Murgia e questo glielo riconosciamo. In fondo lo scrive anche lei, però, in tutt'altro contesto e per tutt'altre ragioni, ma lo scrive. E della «misteriosa geografia del consenso», del «parere della maggioranza», sono fatte anche, a torto o a ragione, le bambole con cui giocano le femmine e le pistole finte con cui si sparano i maschi. È così che va, di solito. Per naturale propensione, per consuetudine, per storia. Che poi la scrittrice ritenga che oggi, la storia ci vada ormai stretta, è un parere legittimo ma personale. Quanti di voi, invitati al compleanno della figlioletta di un'amica esiterebbero davanti agli scaffali di Toys pensando a un'opportunità di genere neutro? Forse in maniera grossolana, politicamente scorretta, per nulla illuminata, nove su dieci di voi si fionderebbero su una bambola, magari pure vestita di rosa, e fine della storia. Perché è così che siamo abituati da secoli (guidati anche dalla famosa geografia del consenso) e perché fatichiamo a trovarci qualcosa di male. Invece l'argomento ha scatenato una rissa, tra la scrittrice e lo psichiatra Raffaele Morelli a Tg Zero di Radio Capital. In effetti... Solo per scommessa genetica verrebbe in mente di accostarli. Ci sono persone che, appena le incroci, ti portano a una cattiva tenuta di strada dei pensieri. Murgia e Morelli sono due fulgidi esempi di questa circostanza. E così è andata.
Si parlava di donne e di identità sessuale, e Morelli spiegava che, a suo parere, le bambine devono giocare con le bambole per conservare la loro «radice femminile». Figuriamoci se la Murgia, una che in passato ha detto che «nascere maschi in un sistema patriarcale e maschilista è un po' come essere figli maschi di un boss mafioso», poteva inghiottire la frase di Morelli senza contestare. «I maschi non giocano con le bambole perché non gliele diamo» ha risposto sdegnata l'autrice. E ancora, andava in affondo la Murgia: «D'altra parte lei è noto per le uscite sessiste. In queste ore si sta discutendo di una frase detta da lei a proposito delle donne che sono regine della forma e suscitano il desiderio e guai se non fosse così. Gliela cito testualmente: se una donna esce di casa e gli uomini non le mettono gli occhi addosso deve preoccuparsi». Morelli ricostruisce il contesto in cui è stata pronunciata la frase e aggiunge opinioni sul ruolo della donna. Ma ormai la Murgia ce l'ha nel mirino e controbatte, incalza, provoca, lo interrompe. «Zitta, sto parlando, altrimenti me ne vado» sbotta Morelli. Lei, all'ipotesi, fa simboliche spallucce, lo invita ad andarsene, lui appende il telefono. Fine della comunicazione, posto sia mai iniziata. Il fallimento della dialettica e della ragione. Quasi una consolazione per chi vanta meno neuroni, meno lauree, meno abilità dialettiche e si trova, spesso e mai volentieri, nel medesimo pantano di incomunicabilità.
Ma la questione è, pur conoscendo la ferma, granitica posizione della Murgia sul tema femminile e pur comprendendo che l'emancipazione possa passare anche dalla dismissione di una Barbie: ma davvero, signora Murgia, c'è bisogno di diventare jazzisti della complicazione per una sagoma in plastica?
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