La falla nel sistema giudiziario: gli stalker liberi di diventar incubo

Il criminologo clinico Paolo Giulini spiega quali sono le caratteristiche dello stalker e come reagire di fronte ai suoi comportamenti ossessivi

La falla nel sistema giudiziario: gli stalker liberi di diventar incubo

Sono tante le storie di stalker che perseguitano le proprie vittime, impedendo loro di avere una vita normale. Si tratta di individui, sia uomini che donne, legati a un’altra persona da un rapporto affettivo o professionale durato per un certo periodo di tempo e che ha avuto una fine. Proprio la fine di quel rapporto è qualcosa che non viene accettata dallo stalker, che cerca quindi di avvicinarsi alla vittima a qualsiasi costo pur di riallacciare il precedente legame. Quali sono i tratti che caratterizzano la figura dello stalker? Ne abbiamo parlato con Paolo Giulini, criminologo clinico e presidente della cooperativa Cipm.

Chi è lo stalker e quali sono le caratteristiche che lo contraddistinguono?

"Non esiste un singolo profilo psico-comportamentale dello stalker, perché si tratta di individui che esibiscono una gamma molto larga di comportamenti. Diciamo che perseguitare la vittima costituisce un po' il mezzo per soddisfare la propria pulsione aggressiva, quando non è erotica. La condotta di questi soggetti non si manifesta attraverso una violenza effrattiva con lesioni del corpo, ma sadica nel rendere succube chi la subisce. Diventare l’incubo di chi viene perseguitato è la modalità dello stalker. Si tratta di un'aggressività bianca, fredda, spesso congelata. Nei casi che abbiamo seguito si vedono persone che compiono uno stillicidio di atti che colonizzano la mente della vittima. Gli aspetti tipici emotivi dello stalker sono l’orgoglio, la speranza e la rabbia. L’orgoglio deriva dal fatto che lo stalker non vuole essere abbandonato. La speranza è legata all’illusione di mantenere un legame e la rabbia è il senso che emerge dall’abbandono e dalle sue conseguenze".

Quali sono i meccanismi che scaturiscono nella mente dello stalker? Perché tormentare la vittima?

"Lo stalker, in particolare quando le persecuzioni avvengono nelle relazioni affettive, è generalmente incapace di fronteggiare un rifiuto in modo efficace, e dunque l'idea di rinunciare a qualcuno con cui ha avuto una relazione. Poi perseguita la vittima per alleviare questa angoscia, per riempire il vuoto o per sfogare la propria collera. Torniamo quindi ai tre aspetti: orgoglio, speranza e rabbia. Si evita la sofferenza prodotta dalla separazione attraverso la molestia inflitta. Nella nostra esperienza vi sono anche situazioni meno frequenti di condotte persecutorie, agite alla ricerca di un contatto intimo con persone non conosciute. In questi casi, le insistenze e le molestie scaturiscono o da veri e propri stati deliranti o da fissazioni, spesso connesse a disturbi evolutivi e all’impossibilità di accettare un rifiuto".

Paolo Giulini
Paolo Giulini, criminologo clinico e presidente della cooperativa Cipm

Come scatta la scintilla?

"Ci sono tre fattori. Innanzitutto lo stalker addossa alla vera vittima la colpevolezza della chiusura del rapporto mentre, allo stesso tempo, lui crede di essere la vittima. Poi c’è un fattore predisponente presente in questo soggetto, e che è collegato a una patologia dell’attaccamento sviluppata durante la crescita. Spesso e volentieri si tratta di un soggetto che si è sentito insicuro, trascurato nella relazione affettiva in fase evolutiva. Poi c'è un fattore precipitante, ovvero la perdita significativa di quella persona che gli è stata accanto e che diventerà poi la vittima. Lo stalker, da quel momento, avverte la necessità di dare un senso a quell’abbandono con azioni che poi si ripetono sfociando in una sorta di violenza sadica, che porta a rendere l'altro succube. Si tratta nella maggior parte dei casi di soggetti che non riescono ad accettare l’abbandono del partner o di un’altra figura significativa e attuano una vera persecuzione nel tentativo maldestro di stabilire questo rapporto o vendicarsi".

Ma lo stalker si rende conto di essere tale o no?

"L’autore di atti persecutori, soprattutto quando queste condotte sono commesse nell’ambito delle relazioni affettive o di un contatto intimo desiderato con qualcuno di poco conosciuto, ha la consapevolezza di rendere succube la sua vittima, di diventare il suo incubo e ne prova piacere. In questo modo riesce ad appagare l’orgoglio, sfogare la rabbia e mantenere viva la speranza di poter recuperare il rapporto. Proprio quella speranza è l’aspetto pericoloso del comportamento persecutorio".

C'è una prevalenza di stalker maschili o femminili o si equivalgono?

"Ci sono delle ricerche americane del 2002 che ci dicono che gli stalker sono prevalentemente una figura maschile e che solo l’11% sono donne. I dati più recenti ci dicono che la percentuale delle donne è del 10%".

Perché sono più i maschi?

"La violenza in generale è un fenomeno al maschile. La violenza relazionale è spesso un aspetto tipico dell’uomo e della sua difficoltà di integrare i cambiamenti della nostra civiltà, dove il ruolo della donna è cambiato con una maggiore autonomia ed emancipazione. Credo che nella grande maggioranza dei casi questi uomini abbiano una barriera d’orgoglio smisurato, che pesa sulle loro relazioni affettive".

Che differenza c’è tra il profilo maschile e quello femminile di queste personalità? Ci sono modalità di azione differenti?

"Le azioni delle donne sono più sottili e legate a una dimensione comunicativa, attraverso il sistema delle chat nei social. L'uomo è più fisico, è più presente nei luoghi con gli inseguimenti e i pedinamenti".

Gli atti persecutori si hanno solo nei confronti del partner?

"Oltre alla figura del partner che ha interrotto il rapporto, lo stalker può indirizzare i suoi comportamenti ossessivi verso altre persone con le quali ha avuto dei legami non sentimentali, come ad esempio i colleghi di lavoro o un medico curante".

Sono persone che possono essere recuperate?

"Non si tratta di persone malate, che non hanno competenza di quello che stanno facendo, ma sicuramente sono persone vulnerabili. Questo vuol dire che sono responsabili e devono pagare la pena, non possono essere giustificati. Però le loro vulnerabilità devono essere intercettate e trattate. Una volta che il sistema penale punisce queste persone, deve anche offrire loro dei percorsi specifici per trattare gli aspetti dello psichismo che hanno favorito questi comportamenti. Diversamente, scontata la pena, chi viene condannato per atti persecutori avrà ancora la convinzione di essere vittima e tornerà ad attuare quei comportamenti sbagliati. Il metodo più efficace per aiutare queste persone a comprendere come doversi comportare è il trattamento di gruppo. Non parlo di terapia, perché non siamo di fronte a una malattia, parlo di un trattamento clinico criminologico, perché si fa su persone che con la loro condotta hanno provocato sofferenza ad altre persone".

La vittima come può affrontare uno stalker?

"La vittima deve avere dei comportamenti non ambivalenti ma è molto difficile. Spesso le vittime utilizzano come mezzo di difesa dei meccanismi che sono speculari a quelli dei loro stalker.

In esse spesso sorge il senso di colpa, la vergogna di essere bersaglio di comportamenti di questo tipo e hanno difficoltà a parlarne. Invece devono raccontare tutto a persone di fiducia o anche alla polizia e interrompere qualsiasi forma di comunicazione con lo stalker".

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