«Non escludo che i responsabili dell’attentato a Papa Wojtyla del 13 maggio 1981, i paesi dell’Est, abbiano rapito Emanuela per impedire ad Alì Agca di fare i nomi dei mandanti, promettendogli la libertà. Orlandi, mi intenda bene: questa è soltanto una mia idea».
A riferire a Pietro Orlandi la sua «idea» circa la scomparsa di sua sorella Emanuela - la cittadina vaticana figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia, che sparì in circostanze misteriose il 22 giugno 1983 all’età di 15 anni - non è un personaggio qualunque. Bensì il cardinale Giovanni Battista Re, l’ex prefetto della Congregazione dei vescovi che ai tempi della scomparsa di Emanuela era assessore della segreteria di stato vaticana. Fu lui, più di altri, a fare la spola tra l’appartamento papale e la casa degli Orlandi in quei giorni in cui molti speravano ancora che Emanuela potesse tornare a casa.
Poche parole, quelle di Re, ma significative perché sostanzialmente avallano l’ipotesi che dietro il rapimento vi sia la pista del terrorismo internazionale. Emanuela sarebbe stata rapita per convincere Alì Agca a non fare i nomi dei mandanti del tentato omicidio ai danni di Wojtyla. L’idea era di concedere poi la libertà a Emanuela in cambio della scarcerazione di Agca il quale avrebbe ringraziato col silenzio.
Il parere di Re, che il Giornale anticipa in esclusiva, è contenuto nella seconda edizione - fra due settimane nelle librerie - di Mia sorella Emanuela, il libro che Pietro Orlandi ha scritto assieme al giornalista del Corriere della Sera Fabrizio Peronaci (edizioni Anordest) con la prefazione di don Luigi Ciotti. Sono parole inedite e a loro modo storiche, perché aprono una breccia in quel muro di silenzio e di omertà che fin dal principio ha avvolto la vicenda.
È stato qualche settimana fa che Pietro Orlandi ha chiesto udienza a Re, dopo che in un incontro avvenuto a Istanbul, all’interno di un’abitazione privata nella parte asiatica della città, Agca gli aveva detto che chi sapeva tutto di sua sorella era il cardinale Re.
Pietro ha provato a incalzare il cardinale, chiedergli ulteriori particolari, ma Re stava già porgendogli la mano. «La saluto…», gli disse. Pietro provò un ultimo disperato tentativo: «Ma almeno la voce di Agca registrata la vuole sentire?». «No, lascia perdere…», fu la risposta del prelato. La stessa risposta che la magistratura italiana ha dato a Pietro quando si è presentato nell’ufficio del procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, alla presenza anche del sostituto procuratore titolare dell’inchiesta Orlandi, Simona Maisto. «Come sapete sono stato in Turchia. Volevo riferirvi cosa mi ha detto Agca…».
La risposta lo ha gelato. «Ma no, Agca… Riparlare di lui dopo tanti anni? A che serve? Guardi, non è proprio il caso…». Anche le autorità inquirenti, quindi, ritengono irrilevante qualsiasi dichiarazione dell’ex terrorista turco. A prescindere dal contenuto. A prescindere dal fatto che la versione che Agca ha dato a Pietro coincide clamorosamente con quella offerta a spizzichi e bocconi da Re.
Pietro non ha incontrato soltanto Re. Recentemente è stato anche dal segretario di Benedetto XVI, Georg Gänswein, «l’unico - dice Pietro - che mi è sembrato sinceramente interessato alla verità. Mi ha promesso il suo impegno in tale senso. Un impegno che sono convinto stia dietro l’appunto di padre Federico Lombardi, portavoce di Papa Ratzinger, datato il 27 dicembre 2011 e fatto uscire dal Vaticano nel febbraio 2012 da una “manina” anonima». L’appunto contiene un’approfondita analisi della vicenda Orlandi e ragionamenti su come gestire mediaticamente gli sviluppi suscitati dal libro di Pietro.
Il portavoce di Ratzinger esamina capitolo per capitolo, novità, piste e scenari sulla scomparsa di Emanuela. Scrive Lombardi: «Pietro ritiene che la sorella sia stata sequestrata perché cittadina vaticana, in connessione con l’attentato a Wojtyla, e vorrebbe che questo fosse pubblicamente riconosciuto e dichiarato». Per Lombardi questa richiesta non è del tutto infondata. Ma «anche se non ci sono prove» per dire che il Vaticano abbia voluto nascondere qualcosa, vi sono tuttavia «alcuni aspetti di comportamento umano e cristiano probabilmente criticabili o imprudenti che hanno contribuito all’atteggiamento negativo di Pietro».
A chi ha mandato Lombardi questo appunto? Pietro Orlandi non ha dubbi: «Credo che Lombardi ha risposto a
una richiesta di maggiore chiarezza fattagli direttamente dal segretario del Papa. L’appunto credo sia stato inviato a Gänswein, l’unico che finora dimostra di volere la verità. Speriamo la scopra il più presto possibile».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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