Interi reparti ospedalieri rischiano la chiusura perché non ci sono medici. Si bandiscono i concorsi, che vanno deserti. Nessuno vuole lavorare in un ospedale dove i turni sono massacranti e il rischio dell’errore è dietro l’angolo. Per evitare il peggio, si ricorre alle pratiche più disparate, come quella di affittare medici dalle cooperative. I tagli fatti in passato al personale sono la causa principale che ha determinato questa situazione, ormai al collasso. Secondo Anaao Assomed, il conto annuale dello Stato mostra che dal 2010 al 2016 i medici e i dirigenti sanitari in servizio sono diminuiti di oltre 7 mila unità. Con un rispoarmio per le regioni di circa 600 milioni di euro nel solo 2016. Dal 2010 ad oggi si tratta di diversi miliardi: “In questi anni la sanità ha fatto da bancomat allo Stato, ma abbiamo perso qualcosa come 10mila medici e 50mila infermieri, in futuro di questo passo avremo un’ottima sanità per i ricchi che potranno versare migliaia di euro all’anno in fondi sostitutivi e una sanità povera e arretrata per gli altri” – precisa il segretario nazionale Carlo Palermo.
A fronte di condizioni lavorative pessime si fugge: secondo i dati del Ministero della Salute, nel 2009 avevano chiesto la documentazione per esercitare all’estero 396 professionisti, nel 2014 erano già 2.363 (+600%). Chi non va all’estero, si rifugia nel privato. E le corsie si svuotano. Succede in Veneto dove mancano circa 1300 medici, ma anche in Val d'Aosta, Piemonte, Alto Adige, Lombardia, Friuli, Lazio. I reparti in crisi, da nord a sud sono un po' tutti: pronto soccorso, pediatria, medicina interna, anestesiologia, ortopedia, ginecologia e chirurgia d’urgenza. Si calcola che 200 punti nascita chiuderanno nei prossimi cinque anni, circa dieci per regione, per la mancanza di oltre 2 mila pediatri; in molti scelgono la libera professione per gli stipendi più alti, il lavoro limitato ai giorni feriali in orario diurno, un rischio professionale neanche comparabile con chi sceglie l’ospedale, dove si fa assistenza in sala parto, in terapia intensiva e in pronto soccorso. Nei centri trasfusionali delle strutture pubbliche la scarsità di medici sta mettendo in crisi l’intero sistema sangue, che in Italia si regge sul volontariato: “Il volontario va a donare il sangue, ma non trova il medico per l’operazione e la donazione è persa”, denuncia Beppe Castellano di Dono&Vita.
Gli ospedali, di fronte al rischio chiusura, vanno ad affittare i medici dal privato, dove le condizioni economiche e lavorative sono migliori, arrivando a sborsare cifre altissime, dai 60 ai 90 euro l’ora, mille euro per un solo turno di dodici ore. Società private e cooperative, ovviamente, fioccano. “Stiamo regalando interi pezzi del nostro sistema sanitario nazionale al privato, che infatti si sta attrezzando per farsi trovare pronto a rispondere a una domanda che sarà enorme in assenza dell’offerta pubblica, in un mercato sempre più florido”, denuncia Francesco Medici, consigliere nazionale Anaao. Insieme alla fornitura -legittima- dei servizi di mensa e pulizie, queste società e cooperative offrono -in maniera illegittima - anche i medici. In barba alla sentenza del Consiglio di Stato che a marzo scorso ha dichiarato che no, le cooperative possono sì fornire servizi ma non personale medico. "Una pratica - spiega Adriano Benazzato, segretario Anaao Assomed Veneto – che non garantisce la sicurezza delle cure. Ma c’è di peggio, in alcune Asl si sta cercando il modo di assumere a gettone medici già pensionati, così da risparmiare anche contributi pensionistici, oppure medici non specializzati - e senza la specializzazione non dovrebbero lavorare negli ospedali - magari con molta preparazione teorica ma con scarsa esperienza, spediti una volta in un pronto soccorso, una volta in un altro”.
Il futuro è ancora più nero: secondo le stime dell’associazione, nel quinquennio 2019/2023 usciranno circa 40 mila dipendenti del sistema sanitario nazionale, chi in pensione, chi in fuga nel privato. La quota 100 interesserà in pochissimo tempo i nati tra il 1954 e il 1957, più di 25 mila tra medici e dirigenti sanitari. Il bisogno è quello di giovani medici specializzati, ma sono solo 7500 all’anno coloro che accedono alla formazione post-laurea per la specializzazione necessaria a lavorare negli ospedali o l’attestato di formazione per medico di medicina generale, a fronte di 10mila laureati in medicina ogni anno. Ecco perché togliere il numero chiuso alla facoltà di medicina senza aumentare il numero delle specializzazioni va solo ad aggravare il cosiddetto “imbuto formativo”: 2500 giovani medici laureati privi di uno sbocco occupazionale, un enorme spreco di risorse, visto che formare un medico costa ai cittadini circa 200 mila euro.
La soluzione? Per Anaao Assomed è positiva la notizia della sanatoria per coloro che lavorano nell’area dell’emergenza: formare 162 medici specializzandi per 844 pronto soccorso totali in Italia è ovviamente insufficiente, dunque ben venga permettere agli specializzandi dell’ultimo anno la partecipazione ai concorsi, circa 6 mila unità ogni anno che potrebbero essere inseriti impedendo la chiusura dei servizi, ma è una goccia in mezzo al mare: “Nel sistema dell’emergenza urgenza lavorano 12 mila medici, il Governo deve fare di più, serve lo sblocco delle assunzioni, maggiori tutele e garanzie negli ospedali e aumentare di almeno 3mila unità il numero dei contratti di formazione specialistica,
facendo formazione anche negli ospedali”. Ma non sarà facile sottrarre il monopolio della formazione medica alle Università. Intanto, si preannunciano due giornate consecutive di sciopero a gennaio.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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