Del Papa e delle armi

In questa occasione la critica di papa Francesco alla decisione di alcuni Stati europei, tra cui l'Italia, di utilizzare il 2% del Pil per le spese militari non mi convince.

Del Papa e delle armi

Bisogna avere grande rispetto del magistero papale, spesso portatore di grandi intuizioni, ma in questa occasione la critica di papa Francesco alla decisione di alcuni Stati europei, tra cui l'Italia, di utilizzare il 2% del Pil per le spese militari non mi convince. Specie nei frangenti perigliosi che viviamo. A volte la decisione di armarsi adeguatamente - potrà sembrare paradossale - si rivela più strumento di pace che di guerra. Uno dei capisaldi della filosofia di Roma «si vis pacem para bellum», stracitata nei tempi antichi come in quelli moderni, non è solo una frase che suona bene ma ha del vero. In fondo il lungo periodo di pace che ha caratterizzato la storia recente del vecchio continente, prima della guerra in Ucraina, fu propiziato proprio dalla decisione di aumentare il potenziale bellico.

Basta tornare a quaranta anni fa, alla vicenda dell'installazione in Europa dei missili Pershing e Cruise assunta dalla Nato per bilanciare gli SS-20 sovietici. Ebbene quella corsa al riarmo, per i suoi costi, portò al collasso dell'economia sovietica e diede l'ultima spinta alla dissoluzione del Patto di Varsavia, creando le condizioni per la caduta del Muro di Berlino. Una politica lanciata da Ronald Reagan e che trovò il consenso di un grande Papa come Karol Wojtyla, consultato appositamente dal presidente americano. In Italia la decisione di accogliere i missili Usa fu assunta, malgrado le proteste del Partito comunista e dei pacifisti di mestiere, grazie alla decisione di Bettino Craxi che spaccò la sinistra (da quel momento cominciò ad essere odiato da quel mondo) e si schierò decisamente con l'Alleanza Atlantica. Questa è Storia.

Allora quella decisione di usare le armi come strumento di pace ebbe la benedizione di un Papa, oggi a quanto pare no. Eppure ci sono tante coincidenze tra quel passato e l'attuale presente. In quel periodo c'era una politica aggressiva dell'Urss che somiglia tanto a quella della Russia di Putin di oggi. All'epoca quell'operazione incise sull'economia sovietica già in difficoltà. Oggi - sulla scia degli effetti delle sanzioni - se lo Zar fosse tentato dall'idea di rilanciare sulla strada del riarmo provocherebbe il collasso dei conti del suo Paese. Si potrebbero fare ancora tanti paragoni tra le due epoche, ma la questione è essenzialmente una: si possono mettere in campo delle armi proprio allo scopo di non usarle mai. Di più. Che grado di deterrenza determinerebbe un'Europa con un esercito all'altezza sulla politica prepotente del Cremlino? Sicuramente efficace. Già ora gli investimenti militari russi sono di poco superiori a quelli inglesi, immaginate se anche gli altri maggiori Paesi europei investissero il 2% del Pil: la sfida per Mosca diventerebbe insostenibile. E, naturalmente, se questo potenziale fosse utilizzato specie sul piano diplomatico, l'Europa nelle mediazioni, nei negoziati in favore della pace sarebbe sicuramente più influente di quanto non lo sia ora nel conflitto tra Russia e Ucraina.

Comprendo che il Papa nel suo alto magistero religioso debba condannare l'aumento

delle spese militari anche con forza, ma è anche vero che spesso la pace può richiedere scelte apparentemente contraddittorie o, addirittura, paradossali. Del resto le vie del Signore sono infinite. Papa Wojtyla lo sapeva.

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