Le suggestioni in politica o determinano grandi cambiamenti, o sono foriere di grossi guai per chi ci crede. Cioè si tramutano in pericolosi miraggi. Al primo caso, ad esempio, appartiene sicuramente Forza Italia, l'invenzione con cui il Cavaliere ha rimodellato la politica italiana ormai quasi trent'anni fa. L'elenco di esperimenti finiti male, invece, è lungo, anzi lunghissimo: dalla creatura messa in piedi da Angelino Alfano per restare al governo dopo l'esclusione di Silvio Berlusconi dal Senato, al partito di Mario Monti. Per riuscire operazioni simili debbono avere un progetto fondato, richiedono una buona dose di coraggio e bisogna davvero crederci.
Ora l'ultima araba fenice è il cosiddetto «centro». Per riuscire un progetto simile deve partire da una buona base di consenso. La politica è come la fisica: più sei grande e più il tuo campo gravitazionale si amplia. Quindi, un'operazione del genere per avere credibilità richiederebbe che Carlo Calenda, Matteo Renzi, Emma Bonino e Giovanni Toti, o chi per lui, tutti nessuno escluso, si mettano insieme dimenticando protagonismi e esibizionismi. E già qua la vedo difficile, conoscendo i caratteri e i comportamenti dei personaggi.
Poi, dovrebbero addossarsi un rischio, cioè quello di presentarsi da soli. Vedo invece che Calenda, sotto sotto, ha avviato una trattativa con il Pd per andare insieme alle elezioni. Se così fosse il suo «centro» non sarebbe un «centro» ma una riedizione degli indipendenti di sinistra, cioè di quell'esperienza del secolo scorso che vedeva il Pci eleggere nelle sue file delle personalità con un credo meno ortodosso. Ma nei fatti se non erano zuppa, erano pan bagnato. Diciamolo chiaramente si tratterebbe di un partito vassallo, di una succursale del Pd, che avrebbe una quota di eletti garantiti. Non possono essere certo la Gelmini e Brunetta nelle file di Calenda portati in Parlamento con i voti di Letta a cambiare la natura di un'alleanza. Siamo seri.
Di roba del genere è sempre stata piena la politica italiana. Sono operazioni che durano lo spazio di un mattino. E servono solo a dare una prospettiva, o meglio una pseudo prospettiva ad un partito che ha un «gap» di strategia, cioè il Pd. Un Pd che appena due giorni fa aveva una linea del tutto opposta, quella dell'alleanza con Giuseppe Conte e i suoi poltronisti rivoluzionari, per la quale ha mandato all'aria addirittura il governo Draghi.
Da tutte le ricostruzioni dello strano epilogo di una crisi ancor più strana emerge, infatti, che Letta ha tentato in tutti i modi di tenere aperto un canale con Conte, di indurlo a dare un appoggio esterno al governo, impedendo quindi al Premier di accontentare Berlusconi e Salvini che, non fosse altro per ridare un minimo di serietà alla maggioranza, volevano i seguaci dell'ex premier, cioè quelli che avevano provocato la crisi, fuori. «Hanno tentato - spiega Matteo Renzi - di avere l'appoggio di Conte fino all'ultimo. Speranza e Franceschini sono arrivati a dirmi: Ti costringiamo a votare un Conte ter a guida Draghi. E questo ha mandato su tutte le furie il centro-destra».
Questi sono i fatti. Incontestabili.
Motivo per cui l'ipotetico «centro» se decidesse di allearsi con il Pd, si ritroverebbe un domani tramite Letta anche ad avere rapporti con Conte che magari poi lo collegherebbe pure a Di Battista. Alla fine, quindi, non sarebbe un «centro» ma al massimo un «centro snaturato». In politica è fatale: o si ha coraggio, o si diventa una caricatura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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