
Leggere le paginate sull'inchiesta che sta terremotando la Liguria può certamente fare un certo effetto e ci sarebbe pure da indignarsi se il nostro sistema giudiziario non fosse quello che è. Lo schema è il solito e ben collaudato: offrire in pasto all'opinione pubblica un fritto misto che ha per ingredienti primari le tesi dell'accusa e il gossip raccolto con intercettazioni a strascico. Abili chef dell'informazione giocano con le parole, per cui i finanziamenti a norma di legge diventano «soldi a Toti», le questioni private donnine, vizi, spese pazze e hotel di lusso di imprenditori più o meno spregiudicati (o fortunati) che nulla c'entrano con la questione giudiziaria, fanno da gustoso condimento, e alla fine salta il confine tra verità e fiction.
Dicevamo: tutto già visto. È di ieri la notizia che è stata archiviata, non senza imbarazzo, anche l'ultima inchiesta aperta all'epoca del Covid per dimostrare che nella gestione dell'epidemia i vertici della Regione Lombardia, e non solo, si erano comportati come una banda di criminali e incompetenti. Semplicemente, a differenza di quello che volevano far credere le cronache giornalistiche soprattutto del Fatto Quotidiano e di Repubblica, non era vero niente e solo ora si ammette pure che quell'inchiesta era talmente infondata che non sarebbe dovuta neppure cominciare.
Lo dico perché di fronte a polveroni simili bisogna sempre stare in guardia. Dobbiamo tenere sempre ben presente i danni enormi che il nostro sistema giudiziario ha fatto al Paese. Per dieci anni la nostra azienda fiore all'occhiello, l'Eni, è stata tenuta sotto scacco da una scellerata inchiesta della procura di Milano per corruzione internazionale pm Fabio De Pasquale che, ben pompata dai giornali, ha screditato l'Italia nel mondo: tutti assolti. Sette anni è invece durato il calvario giudiziario che ha messo in ginocchio una delle principali banche italiane il Monte dei Paschi e che si è concluso con la sentenza «il reato non sussiste».
Dieci anni di fango sul Paese sono quelli prodotti dalle procure siciliane che hanno inseguito un'inesistente trattativa tra lo Stato e la mafia: anche qui la sentenza finale è che «il fatto non sussiste».Insomma, la storia insegna che il clamore di un'inchiesta è inversamente proporzionale alla sua fondatezza. E quella di Genova, a occhio, non farà eccezione.
mi stupisco che nessuno dei "media" italiani, e neppure "Il Giornale" faccia riferimento alla precedente inchiesta della procura di Genova sul porto .
Eppure quell'inchiesta partita nel 2008 con gli arresti dell'amministratore delegato della società che gestiva il porto, Giovanni Novi, coinvolgeva come accusato anche Aldo Spinelli.
Nel 2010 , l'inchiesta crollò, non c'era nulla, magrado stanze piene di documenti meno quelli che l'accusa nascose alla difesa, ed il principale accusato che in due anni non fu mai interrogato. Una figuraccia cosmica per la procura genovese.
Però l'inchiesta provoco un cambio di "governance" del porto che virò a babordo.
Semplicemente per ciò che hanno dimostrato. Punto!