Il peccato di Draghi è qui, in quei mesi passati a rincorrere il vento del Quirinale. Forse lo sa anche lui. Il piano di ripresa e resilienza è finito alla periferia del discorso politico. Il capo del governo può dire che no, non è così. Non ha mai smesso di pensarci. Non si è distratto. Non ha coperto il calendario. Non ha perso la bussola delle priorità. C'è qualcosa che però non torna. Draghi, solo adesso, ha chiesto ai ministri di mettere sul tavolo il lavoro fatto finora. «Fra due giorni voglio tutto qua». È il professore spazientito che chiede ai suoi allievi se hanno fatto i compiti. È il segno, e la preoccupazione, che si rischia il fallimento. Le quarantotto ore sono il sintomo della fretta, del siamo maledettamente in ritardo, della corsa disperata di chi sta perdendo il treno. La pandemia, da non sottovalutare, non può però essere un alibi. Il ritardo è altrove.
Allora c'è una domanda da fare al premier: perché solo adesso? Perché non chiedere conto a novembre, a dicembre, quando già l'acqua si stava avvicinando alla gola? Eccoli allora i mesi sciagurati, quelli della danza per il Colle. Il giro del Quirinale, con Mattarella che torna alla base, ha portato un po' tutti a smarrire la rotta. I partiti ne sono usciti a pezzi. Ci si chiede se Draghi, almeno lui, il punto di riferimento, poteva sottrarsi alla tempesta. Così non è stato. C'è chi dice per ambizione, chi perché quella poltrona è un'ossessione, chi per stanchezza, chi per un'uscita a vuoto, chi perché era comunque la cosa più giusta da fare. Non importa. È successo e a posteriori si può dire che non ha fatto bene alla dignitas e, ancora peggio, alla salute dell'Italia. È il suo errore di prospettiva. Il Financial Times scrive che «una classe politica italiana egoista ha evitato il disastro all'ultimo momento» e si chiede come verranno spesi i soldi del Pnrr. Riconosce a Draghi di aver salvato la reputazione italiana con un salvataggio provvidenziale all'ultimo minuto. È lui, dicono, il «king maker» di Mattarella.
Quello che dimenticano è che forse il primo a perdere la palla in una zona delicata è stato proprio lui, l'uomo della speranza.
Ora ci si chiede se si può rimediare. Il piano è sulla carta, ma non è ancora reale. Non si vedono cabine di regia sull'urgenza di farlo funzionare. È una gara a tappe.
Cosa dobbiamo fare quest'anno? Rendere operativa la riforma della giustizia, assunzioni nei tribunali, la riforma del pubblico impiego e le nuove carriere degli insegnanti, la riforma della scuola primaria e secondaria, la legge sui centri per l'impiego, una parte della riforma fiscale per ridurre l'evasione, la costruzione delle nuove ferrovie ad alta velocità Napoli-Bari e Palermo-Catania, gli appalti per la ricerca sull'idrogeno e quelli per la banda ultra larga da ramificare lungo tutta la penisola. Non è cosa da niente. Qui Draghi si gioca la sua reputazione. Buona fortuna.
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