Nel 1948 l'Unità diretta da Pietro Ingrao si mise di traverso cercando di boicottare in tutti i modi il Piano Marshall. Sul quotidiano comunista si potevano leggere frasi più taglienti di un coltello contro l'imperialismo a stelle e strisce: «Mentre abbiamo bisogno di materie prime, l'America ci manda prodotti finiti impossessandosi totalmente del mercato italiano». Figurarsi. Per fortuna, la storia è andata in un altro modo, ma è altrettanto certo che un nuovo Piano Marshall, evocato da più parti per ricostruire un Paese acciaccato e sfibrato, rischia di arenarsi ancora prima di partire. Le proposte e i suggerimenti che grandinano tutti i giorni sulle nostre teste vanno da tutt'altra parte. Invece di armarci tutti di pala e piccone, ritrovando lo spirito pionieristico dei nostri nonni, cerchiamo di togliere la pala e il piccone a chi ancora li impugna: il ministro del Lavoro (?) Nunzia Catalfo partorisce l'idea di ridurre le ore di fatica del 10 per cento, lasciando intatti gli stipendi. L'epopea in bianco e nero che portò al boom diventa un compitino per ragionieri stanchi e senza sogni. Niente sudore, molta calma, orizzonte corto. Lo Stato riscopre la vecchia tentazione e vuole entrare nel capitale delle imprese invece di aiutare a volare quelle - e non sono poche - che tengono ancora alto il nome del nostro Paese.
Si va verso l'ennesimo blocco dei licenziamenti e la fucina postgrillina ha prodotto un nuovo mostriciattolo: il reddito di emergenza che verrà spalmato sul reddito di cittadinanza, come un panino a due strati. La gente deve pur mangiare e la povertà incombe, ma così non si va lontano. Si diffonde un virus pernicioso: stare sul divano di casa - e magari con un lavoretto in nero - può essere conveniente perché alla grande giostra dei sussidi qualcosa alla fine cade nel piatto. Il confronto con la generazione degli anni Cinquanta e Sessanta, con uomini che avevano come soli ammortizzatori il cervello e le gambe, si fa impietoso.
D'altra parte chi ci prova si espone alle intemperie di questa cultura assistenzialista, dirigista e burocratica che mortifica il talento, imbriglia il coraggio e viaggia sulle lunghezza d'onda delle circolari, dei Dpcm, delle Faq. Lo Stato spendaccione mostra il braccino corto quando gli chiedono di onorare i debiti della pubblica amministrazione. Una montagna di debiti, nessuna strategia per il domani. Le opere pubbliche, invocate da Pietro Salini davanti al nuovo Ponte di Genova, avanzano col contagocce, il sospetto, in fabbrica o in ufficio, viene rovesciato in dosi industriali.
L'avvocato Cesare Pozzoli, uno dei più accreditati giuslavoristi italiani, prevede una valanga di cause contro gli imprenditori che non saranno riusciti a proteggere i dipendenti fra termoscanner, sanificazioni, gel, distanze minime mai sufficienti per scongiurare il contagio e pacchi di regole che nessuno ha ancora capito. Ma che paralizzano in questo momento l'apertura delle spiagge e le già fievoli speranze dell'industria del turismo.
In compenso, dopo tutto quello che è successo e dopo il crollo del Pil senza precedenti, lo Stato chiede ancora le causali agli imprenditori che
vogliono prendere qualcuno per un certo periodo. Il Piano Marshall di questo passo sarà solo una foto Alinari che spunta dalla credenza, con il servizio della nonna. Meglio stare a casa, aspettando non Godot ma zio Pantalone.
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