"La 'Vatican girl'? Mia sorella Emanuela. Quelle attenzioni da un prelato..."

Al via la miniserie "Vatican girl" dedicata alla scomparsa di Emanuela Orlandi. Il fratello Pietro a ilGiornale.it: "Era agitata qualche giorno prima del rapimento. Fu avvicinata da un prete"

"La 'Vatican girl'? Mia sorella Emanuela. Quelle attenzioni da un prelato..."
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È online su piattaforma streaming “Vatican Girl”, la nuova docuserie targata Netflix dedicata alla vicenda di Emanuela Orlandi, la 15enne che scomparve a Roma il 22 giugno 1983. Una storia misteriosa, e dai risvolti inattesi, che ha catalizzato l’attenzione del regista inglese Mark Lewis - già autore di “Giù le mani dai gatti” - al punto da farne un racconto a puntate.

Il filo conduttore del documentario è la presunta correlazione tra il rapimento della ragazza e alcune dinamiche interne al Vaticano. "Emanuela raccontò a un’amica di aver ricevuto attenzioni da un prelato", racconta alla nostra redazione Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, che ha partecipato al cortometraggio.

Pietro Orlandi, cosa racconta "Vatican girl"?

"Racconta l’intera vicenda del rapimento di Emanuela da un punto di vista cronologico, mettendo cioè in successione tutte le varie piste investigative che si sono susseguite nel corso di questi lunghi 39 anni".

Come ha reagito quando le hanno proposto la docuserie?

"Il progetto è nato tre anni fa, prima della pandemia. Ne sono rimasto sorpreso, ma anche molto contento perché è un modo per far conoscere la storia di Emanuela fuori dai confini dell’Italia. Il documentario sarà trasmesso in 160 Paesi del mondo".

Qual è il filo conduttore della storia?

"Come suggerisce il titolo della docuserie, tutto ruota attorno al possibile intreccio tra la scomparsa di mia sorella e il Vaticano".

Nel documentario interverrà, per la prima volta, anche un’amica Emanuela. In che rapporti erano?

"Anzitutto tengo a precisare che è una persona molta pacata e discreta. Peraltro non è mai stata sentita dagli inquirenti perché non è a conoscenza di fatti né in possesso di informazioni. Lei era una ex compagna di scuola di mia sorella, non faceva parte della comitiva del Sant’Anna. Tuttavia erano rimaste in contatto. Tant’è che si sono viste pochi giorni prima del rapimento".

Le ha raccontato qualcosa riguardo a quell’incontro?

"Sì. Come lei stessa racconterà nella docuserie, aveva notato che Emanuela era agitata e sovrappensiero. Quando le ha chiesto quali preoccupazioni avesse, mia sorella le avrebbe detto di aver ricevuto attenzioni da un prelato".

Nello specifico cosa avrebbe detto sua sorella all'amica?

"Che un prete 'vicino al Papa' l’aveva avvicinata nei pressi dei giardini vaticani. ‘C’ha provato’, sarebbero state le sue parole".

Secondo lei, cosa intendeva dire Emanuela con quella espressione?

"Difficile a dirsi. Quella frase potrebbe voler dire tutto o nulla sulla tipologia di approccio da parte di questo prelato. Per certo è l’ennesima conferma che, in un modo o nell’altro, in questa storia c’entra il Vaticano. Il resto sono solo mistificazioni".

A cosa si riferisce?

"Ai vari tentativi di depistaggio che sono stati attuati nel corso degli anni allo scopo di far deviare le indagini sulle altre piste investigative".

Del tipo?

"Quando si parla ad esempio del venditore di prodotti cosmetici che avrebbe fermato Emanuela all’uscita da scuola per proporle un lavoro. Mi sembra abbastanza palese che sia stato un tentativo di indirizzare le indagini su una pista alternativa a quella del Vaticano. Tant’è che all’inizio gli investigatori avevano ipotizzato che il rapimento fosse opera di un malintenzionato. Quello che oggi definiremmo ‘un predatore’, per intenderci".

Pietro Orlandi
Pietro Orlandi

Questa estate la vicenda di Emanuela è stata accostata a quella di Katy Skerl. Ci sono dei punti di contatto tra le due storie?

"A parer mio, no. Se non che la scomparsa di Katy Skerl è avvenuta quattro mesi dopo il rapimento di Emanuela. Ma loro due neanche si conoscevano né frequentavano gli stessi luoghi. Sono due storie diverse".

Però anche nel caso della Skerl si è parlato del fotografo Marco Fassoni Accetti (nel 2013 dichiarò di conoscere i dettagli del rapimento di Emanuela).

"Accetti dice tante cose ma non è credibile, almeno per quanto riguarda la vicenda di mia sorella".

Perché?

"In tredici interrogatori non è mai stato in grado di fornire delle prove a sostegno delle sue dichiarazioni. A me, e alla nostra famiglia, interessa conoscere solo la verità su quello che è successo a Emanuela".

In tal senso, la docuserie potrebbe essere d’aiuto?

"L’intento è proprio quello di alzare l’attenzione sulla scomparsa di Emanuela. Spero vivamente che questo documentario possa spingere la ricerca della verità sulla storia di mia sorella. Una cosa è certa: noi non ci arrendiamo".

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