Polemica a Biella, migranti spalano neve sulla strada del direttore onlus

Pettinengo, il direttore si difende: "La strada serve ad un'impresa per finire dei lavori. Io sono risalito con le catene"

Polemica a Biella, migranti spalano neve sulla strada del direttore onlus

Le polemiche sull’accoglienza dei richiedenti asilo tengono banco in tutta Italia. E Pettinengo, piccolo paese in provincia di Biella, non fa eccezione. “Guardi qui, quella è la strada del Trivero”, dice Giovanna Guerra mostrando una fotografia (guarda) in cui si riconosce un gruppo di profughi armati di pale intenti a spazzare via la neve caduta copiosamente in questi giorni. Trivero non è un cittadino qualunque, ma il direttore della onlus Pacefuturo che ospita a Pettinengo (e altrove) i giovani migranti. “In un’oretta hanno pulito tutta la strada fino in fondo, saranno circa 500 metri. Poi hanno buttato pure il sale”.

La foto, rigorosamente pubblicata sui social, ha scatenato una piccola diatriba in un paese già in passato attraversato da controversie sull’operosità dei profughi. Trivero al Giornale.it conferma la ricostruzione, precisando tuttavia che “avevano appena finito di spalare la neve alle scuole elementari e alle scuole medie, all'asilo, alla farmacia, alla chiesa, lungo i marciapiedi e le scale comunali” (guarda); che la strada vicinale (privata) "non è di mia proprietà ma ho il diritto di passaggio"; e che nella stessa strada si stanno svolgendo dei lavori per conto dell'Amministrazione: "L'impresario che deve rimontare un ponte - spiega Trivero -, e che non conosco personalmente, ieri sera mi ha telefonato chiedendo gentilmente se potevamo pulire la strada".

In molti però storcono il naso: “Noi comuni mortali ieri abbiamo dovuto prendere la pala e togliere la neve da soli, non c’erano profughi pronti ad aiutarci gratis”, dice Giovanna. In effetti il direttore di Pacefuturo non ha pagato nulla per avere la strada senza fiocchi di neve. “Svolgono queste attività come volontariato", precisa Trivero. "Vengono assicurati, formati DVR, iscritti nel registro e forniti di DPI”. E a chi decide di pulire per strada “viene fatta un’ulteriore e normale assicurazione di cantonariato”.

Resta il fatto che per la famiglia Guerra è “fuori da ogni logica” che i migranti accolti dalla Pacefuturo “vadano a spalare per lui”. E la pensa così anche Lucia, un’altra abitante che li considera “sfruttati” dall’associazione. In passato avevano già svolto altri lavori per Trivero, ma - ribatte il diretto interessato - “in amicizia”, ovvero per “ringraziare tutti quelli che li degnano di un saluto, di un sorriso, chi li porta alla domenica a fare due passi in montagna o al cinema o li invita a cena in famiglia”.

Nel Biellese Pacefuturo gestisce 102 immigrati in 9 diverse strutture. Quelle di Pettinengo ne possono contenere fino a 56. Poi ce ne sono altri 27 a Ronco Biellese, 4 a Zumaglia e 15 a Chiavazza. Nel 2016 per i servizi assegnati dalla prefettura la onlus ha incassato 1.124.200 euro per il periodo che va dal 15 marzo al 31 dicembre. La diatriba sugli incarichi dati agli immigrati va avanti da tempo. Comuni e Prefetture possono firmare accordi per impiegarli in mansioni socialmente utili (anche se non tutti concordano). Diverso il discorso per i lavori svolti presso privati. Per legge infatti i profughi dopo due mesi dallo sbarco in Italia e la presentazione della domanda di asilo possono svolgere attività lavorative al pari dei disoccupati italiani. Ma devono avere un contratto valido, contributi pagati e tutto il resto. Spesso, però, - come in questo caso - vengono usati come volontari senza retribuzione. Lana caprina o differenza sostanziale?

Alcuni abitanti di Pettinengo non vedono di buon occhio i lavoretti saltuariamente svolti dai richiedenti asilo per i privati. “Il problema come al solito è che il sistema accoglienza non funziona”, attaccano Michele Mosca, segretario provinciale della Lega Nord, e Giacomo Moscarola, consigliere comunale. “Ai migranti Pacefuturo fa pulire giardini privati (guarda le foto) e questo significa meno impiego per i locali”. Trivero non ci sta: “Siamo una piccola comunità di montagna - dice - e questi lavoretti vengono fatti dalle persone in difficoltà o amiche", precisando che si tratta sempre di opera volontaria e non retribuita. Eppure c’è chi “sa per certo” che alcuni abbiano versato denaro all’associazione, sotto forma di contributo. “Se poi il cittadino vuole fare una donazione - ammette il direttore di Pacefuturo - è molto benvenuta e serve per pagare le spese delle attrezzature, assicurazioni, luce, acqua e riscaldamento dei laboratori”.

I motivi di tensione non si fermano qui. A metà novembre i profughi vengono immortalati sorridenti (guarda) a bordo di un trattore della onlus. Sono disposti sul rimorchio: uno in piedi tra i materiali, due pericolosamente seduti sul bordo del cassone e altri due aggrappati poco sopra le ruote. Non proprio il massimo della sicurezza. E a dir la verità anche fuori dalle regole, se è vero che gli articoli 208 e 209 del Regolamento del codice della strada sulle macchine agricole prevedono il divieto per “il trasporto di persone in piedi” e negano “la possibilità di appoggio delle persone alle sponde” del rimorchio. “La foto si riferisce ad un tratto di strada privata - fa notare Trivero - Spero che nel fotogramma successivo il nostro collaboratore abbia fatto scendere i volontari dal mezzo, altrimenti avrà commesso ovviamente un’infrazione”.

Migranti sul trattore a Pettinengo

I sorrisi dei richiedenti asilo sul trattore cozzano con le lamentele dei residenti. Alcuni hanno promosso una raccolta firme indirizzata a sindaco e prefetto per protestare contro l’accoglienza in paese. I firmatari sono già oltre un centinaio. “Prima si radunavano vicino al campo sportivo - racconta Giovanna - erano spesso ubriachi e lasciavano in giro bottiglie di vetro. Poi sono finiti al parco giochi vicino all’asilo, dove trovavamo sporcizia e chiazze di vomito”. “Alcuni di loro si sono integrati - aggiunge Lucia - ma si contano sulle dita della mano. Altri non hanno alcun rispetto per il paese che li ospita. Io non vado più a camminare da sola la sera dopo che quattro o cinque ragazzi mi hanno seguita”. La diffidenza si tramuta allora in paura.

“Da bambina i nostri genitori ci lasciavano girare da soli in bicicletta: oggi che ho 27 anni non posso più godere di questa libertà”. Ed è “spiacevole”, se non irrazionale, “non potersi sentire sicuri in casa propria”.

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