L'indagine giudiziaria in corso riguardante il crollo del Ponte Morandi ha messo in luce: A) che il crollo è stato causato da una mancata manutenzione degli stralli, cioè i cavi di sostegno, che s'erano logorati; B) che l'ingegner Morandi, il famoso progettista del Ponte, aveva messo in evidenza nel progetto che tale manutenzione era indispensabile per la sua sicurezza. L'indagine aggiunge che il controllo raccomandato dall'ingegner Morandi è mancato, sebbene il logorio degli stralli fosse ben visibile. Lo possono testimoniare tutti quelli che vi sono transitati negli anni e nei mesi precedenti al crollo, compreso chi scrive, che ha una casa sulla collina di Rapallo e che da quel ponte è transitato anche nell'anno in cui è crollato, fortunatamente un mese prima. Dato che i periti del Tribunale di Genova hanno appurato tutto ciò, sorge come ovvia la domanda: se il danneggiamento era ben visibile, come mai i controllori del concessionario, cioè gli organi ministeriali, non se ne sono accorti? È possibile che ignorassero il pericolo inerente al logorio, in particolare di una delle due coppie di stralli del pilone 9, che la perizia indica come particolarmente evidente? Come è possibile che quel logorio che tutti vedevano man mano aumentare fosse sfuggito agli occhi dei controllori? E ancora, è possibile che le autorità preposte alla concessione ignorassero che l'ingegner Morandi aveva raccomandato di effettuare quelle manutenzioni periodiche? Quando, nel 1999, il governo dell'Ulivo (il primo di centrosinistra) privatizzò le autostrade del gruppo Iri aggiudicandole al gruppo Benetton, unico concorrente rimasto in gara dopo che la cordata guidata dal fondo australiano si era ritirata, gli organi ministeriali competenti per la concessione, visionarono ciò che davano in concessione? La manutenzione degli stralli mancava dal 1993, ultimo anno della Prima Repubblica, col governo Ciampi, che preludeva alla Seconda. Questa visura era fondamentale per l'attività di manutenzione a cui avrebbero dovuto adempiere i nuovi concessionari, onde comportarsi con le regole di diligenza «del buon padre di famiglia». Ed il controllo competeva al concedente. Certo, il patrimonio autostradale assegnato ad Aspi dei Benetton era gigantesco e comprendeva molti viadotti. Ma anche il concedente di beni pubblici deve comportarsi con la diligenza del buon padre di famiglia. E ciò in particolare per beni, come il Ponte Morandi, snodo strategico per il porto e l'aeroporto di Genova e per la rete autostradale. Nel 2007 il ministro delle Infrastrutture del governo Prodi, Di Pietro rinnovò la convenzione di Aspi, che era cessata, con nuove regole per il calcolo delle manutenzioni. In seguito ci fu una nuova proroga, siglata da Delrio nel 2017. Poi arrivò il governo gialloverde, in cui il ministero in questione andò ai 5 Stelle, che lo consideravano strategico, per la lotta contro l'Alta velocità e per la loro linea giustizialista contro la corruzione morale. Il nuovo ministro completò il rinnovo della convenzione, nelle linee precedenti. Ciò, mentre a proposito del Ponte Morandi, Di Pietro sosteneva che «cade a pezzi».
Seguì un'interrogazione parlamentare sul tema verso la fine del 2017, così ci fu la perizia del Politecnico di Genova, che metteva in luce la precarietà del ponte. Gli stralli cedettero mentre si faceva la complessa procedura di appalto dei lavori, cara ai moralisti.
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