Pozzetto e la riscossa dei comici

Meritato Nastro d'argento per il film di Avati

Pozzetto e la riscossa dei comici

Qualcosa sta cambiando. Forse a rilento, anzi sicuramente, ma i primi segnali ci sono e sembrano confortanti. Anche i premi, oltre al pubblico, iniziano a prendere in considerazione gli attori delle commedie, veri e propri Re Mida della nostra cinematografia, insomma quelli che tengono in piedi tutta la baracca. La commedia è il genere principe del cinema italiano, anche storicamente, ma altrettanto storicamente è il più dimenticato quando si tratta di assegnare un riconoscimento.

Sarebbe ipocrita non ammetterlo ma ci piacciono tanto i vari Boldi, De Sica, Ficarra e Picone, Pozzetto, Verdone, Zalone, però, quando si tratta di votarli per un premio, ecco che, per alcuni di noi, giornalisti e critici, scatta il riflesso condizionato magari dall'interpretazione di impegno, spesso civile, e così il ruolo drammatico acquista irrazionalmente un valore maggiore di quello che invece ci ha fatto ridere, e tanto. Anche se, riflettendoci bene, a volte è proprio quella commedia che ci ha lasciato il retrogusto più amaro, con il suo ritratto meno immediato ma anche meno scontato della realtà.

A conferma di questa regola ecco la notizia del Nastro d'Argento speciale del Sindacato Giornalisti Cinematografici Italiani, guidato da Laura Delli Colli, a Renato Pozzetto cinquant'anni dopo lo stesso riconoscimento, nel 1972, come miglior esordiente in Per amare Ofelia di Flavio Mogherini. Una commedia vivaddio. Nel mezzo però, pur avendo girato circa 60 film, il nulla. Ma anche questo riconoscimento va a premiare un'interpretazione drammatica, struggente e commovente certo, di Renato Pozzetto nei panni di Giuseppe Sgarbi, il padre di Elisabetta e Vittorio, nel film Lei mi parla ancora di Pupi Avati. Un regista che, nel cinema, ha sempre fatto quello che non han fatto i riconoscimenti, ossia premiare con una sorta di «patentino d'attore impegnato», grandi attori comici in ruoli più drammatici, da Abatantuono a Boldi, da Delle Piane a Greggio che, ricordiamolo, ha ideato un festival dedicato solo alla commedia (a Montecarlo dal 31 maggio al 5 giugno). Tra questi c'è anche Pozzetto che, en passant, non ha mai vinto per un suo film un David di Donatello, il premio più prestigioso del nostro cinema. A dirla tutta non è mai stato nemmeno candidato. Anzi sì, una volta sola. Sapete quando? Ovviamente, a conferma della regola «aurea» sopraesposta, solo quest'anno per il film di Avati. Mentre nel lontano 1975 anche i David gli diedero un riconoscimento speciale. Ma, appunto, siamo sempre nell'extraterritorialità dei premi. Per questo ha sorpreso, e naturalmente irritato molti, il David andato quest'anno a Luca Medici in arte Checco Zalone per la migliore canzone, Immigrato (insieme a Antonio Iammarino) per Tolo Tolo. Film che peraltro ha ottenuto il David dello Spettatore che va, in automatico, alla pellicola con più presenze al cinema. Ma è importante ricordare che Zalone era stato anche candidato nelle cinquina come miglior regista esordiente. Un segnale del nuovo corso della presidente e direttrice artistica dei Premi David di Donatello, Piera Detassis, che ha avviato una riorganizzazione nel segno dell'inclusione. Anche lei però è dovuta ricorrere a un David speciale per Diego Abatantuono che non ne aveva mai vinto uno pur essendo stato candidato tante volte anche se sempre, ovviamente, post-interpretazione drammatica, grazie a Pupi Avati con il suo Regalo di Natale del 1986.

Sarebbe bello che anche i premi riconoscessero finalmente la varietà, la forza e la profondità di alcune commedie e delle loro

interpretazioni. Considerandole però alla pari con gli altri generi. Senza categorie speciali i Nastri hanno quella per la migliore commedia perché non ne hanno bisogno. Non essendo inferiori, sulla carta, a nessuno. Anzi.

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