Il premier influencer nel Paese che non c'è

L'altra sera, nel suo ennesimo messaggio alla nazione, Giuseppe Conte, sembrava un extraterrestre atterrato con la sua astronave per caso In Italia

Il premier influencer nel Paese che non c'è

L'altra sera, nel suo ennesimo messaggio alla nazione, Giuseppe Conte, sembrava un extraterrestre atterrato con la sua astronave per caso In Italia. Ha parlato di un Paese che non c'è. Si è inventato terapie intensive tutte da fare, reparti di terapie sub intensive ancora da realizzare, tamponi che comunque necessitano di code lunghe quanto il raccordo anulare e assunzioni nella sanità che esistono ma solo sulla carta. Il Paese, quello vero, quello che conoscono i dottori e gli infermieri in prima linea, i malati ospedalizzati, i contagiati relegati in casa e i cittadini disorientati e presi dal panico per un governo che rigetta su di loro le proprie colpe, è tutt'altro.

O meglio è lo stesso che nel marzo scorso ha reagito malgrado la carenza di mascherine e terapie intensive al Male, che si è rimboccato le maniche e ha resistito contando sulle forze di un'opinione pubblica responsabilizzata anche dalla paura. Da allora la politica, che è pagata per essere lungimirante, ha perso tempo, non ha ovviato alle lacune nel nostro sistema sanitario evidenziate dalla prima ondata, ha lanciato messaggi contraddittori come l'apertura delle discoteche ed ha portato un Paese impreparato ad affrontare una seconda ondata. Un evento annunciato mille volte e che si è presentato puntuale all'appuntamento come un orologio svizzero.

Chi, invece, si è presentato con l'abito del pressappochismo e della superficialità è stato il premier e la sua maggioranza. Senza più l'alibi di una catastrofe inedita, ma tronfi di un'immagine costruita a tavolino, quella di un inedito modello Italia: un'immagine nutrita con l'illusione che dalla prima ondata eravamo usciti per primi per bravura e non perché questa sventura c'era capitata prima, proprio come ora la seconda ci ha investito dopo e ci lascerà probabilmente dopo che gli altri Paesi l'avranno già superata. Insomma, il meccanismo fisiologico di un'epidemia, è stato spacciato - complice l'ignoranza e la comunicazione ossessiva di Palazzo Chigi - per maestria.

Ora, però, il Re è nudo. E non basta la verbosità televisiva con cui il premier accompagna ogni dpcm. Contano i fatti, i numeri, le cifre. E qui c'è poco da fare: affrontiamo la seconda ondata preparati, pardon impreparati, come nella prima. Due fatti sono diventati involontariamente gli stereotipi di questa condizione: la confusione con cui è stata organizzata la riapertura delle scuole, condita da quel confronto sui banchi con le rotelle, che si è trasformato in un cult da cinema comico demenziale con la regia di Lucia Azzolina; mentre il ritardo con cui sono stati emessi i bandi per la realizzazione delle terapie intensive (una decisione assunta dal governo a maggio e avviata nella sua procedura realizzativa ad ottobre), potrebbe offrire il soggetto adatto per la sceneggiatura di una commedia napoletana in tono minore, lontana parente di quella di Eduardo de Filippo, scritta da Domenico Arcuri.

L'impresario di entrambi gli artisti è il premier Conte, che ha fatto dell'immobilismo il suo tratto naturale. Conte non tocca nulla per non compromettere quella creatura fragile e piena di fobie che è la sua maggioranza. È talmente fermo per la paura che una piccola brezza faccia volare il suo castello di carte, da sottostare, malgrado le condizioni del Paese dal punto di vista economico sono quelle che sono, al pregiudizio ideologico grillino sul Mes. Motivando il suo rifiuto al Mes - e qui siamo al paradosso - con le tesi che adducono i suoi nemici più acerrimi, cioè i sovranisti e i populisti nostrani. Insomma, fa quasi ridere, ma sul Mes Conte è andato a scuola da Salvini e dalla Meloni. Roba da non credere. Ed è ancor più sbalorditivo che il premier si tiri dietro nelle sue contraddizioni, come i topolini che seguivano ignari il pifferaio magico, Nicola Zingaretti e Matteo Renzi. Solo che a Hamelin suonavano il flauto, mentre a Roma sono ammaliati dalle poltrone di un improbabile rimpasto. Per cui se a conti fatti, per motivi più o meno nobili, il Pd e i renziani decideranno di adattarsi alle tesi di Claudio Borghi per conquistare un posto nella storia come complici di Conte, almeno per pudore dovrebbero trattenersi dall'abusare di quella retorica europeista che condisce puntualmente ogni loro discorso. A meno che non abbiano il coraggio di pigiare contro il governo il bottone rosso in Parlamento, come consiglia il senatore di scuola Calenda, Matteo Richetti. Altrimenti meglio il silenzio, in segno di rispetto verso le vittime della tragedia. Ieri l'onda si è alzata di nuovo: quasi diecimila contagi con un terzo di tamponi in meno, mentre il numero dei decessi è aumentato (73), come pure le terapie intensive (altre 43).

Forse un domani la constatazione che siamo arrivati impreparati alla seconda ondata per le fumisterie ideologiche di qualche grillino, a cui tutti (anche buona parte dei media) si sono accodati per tenere in piedi un governo senz'anima, potrà offrire un ottimo spunto per una riflessione sull'etica della politica. Oggi, invece, parafrasando una vecchia canzone, ci sarebbe da chiedere all'extraterrestre, quello vero: «Portami via con te».

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