I due imperatori del mondo, il presidente americano Joe Biden e quello cinese Xi Jinping, si guarderanno in faccia oggi per la prima volta a Bali, dove si svolge il G20, perché hanno deciso, dopo una lunga e silenziosa trattativa, di affrontare insieme le situazioni più pericolose per disinnescare i due focolai di guerra: quello dell'Ucraina invasa dalla Russia e quello dell'isola di Taiwan. Manca all'appuntamento il presidente russo Vladimir Putin, il quale ha scelto di non esserci e che si trova in una situazione tremendamente precaria: la sua pretesa «operazione militare speciale» in Ucraina è fallita sotto ogni punto di vista, sia politico che militare, perché americani e inglesi hanno fornito a Kiev armi di qualità superiore a quelle russe. E poi perché l'esercito russo si è rivelato un fallimento: male armato e demotivato, sconfitto sia sul fronte strategico che morale. La Cina, che formalmente ha sostenuto la Russia, non soltanto si è tenuta alla larga dall'avventura russa, ma ha dato segni di forte nervosismo e totale disapprovazione di fronte alle larvate minacce che arrivavano da Mosca sull'uso di armi nucleari.
Xi Jinping lo ha detto apertamente a Putin quando si sono incontrati a Samarcanda insieme ai capi degli Stati antioccidentali, fra cui il presidente indiano Modi, per una ragione fondamentale: Cina e India hanno bisogno di mantenere aperto il commercio internazionale per saziare le loro gigantesche popolazioni e per farlo hanno bisogno del mercato americano, che assorbe la maggior parte dei loro prodotti. Negli ultimi due mesi Biden, preoccupato per la situazione interna americana di fronte a un'inflazione che galoppa e un'opinione pubblica riluttante ad accollarsi il costo senza limiti della difesa dell'Ucraina, ha aperto un canale di comunicazione privilegiata col presidente cinese che, a sua volta, era impegnato sul fronte interno per assicurarsi l'appoggio di tutto il Partito comunista. I due hanno vinto sul fronte interno e si trovano nella pienezza dei loro poteri. Quando si tratta occorre essere pronti a cedere qualcosa e gli Stati Uniti hanno chiesto alla Cina di premere sul Cremlino offrendo una soluzione del problema di Taiwan, l'isola autonoma e ribelle, ma anche produttrice delle materie indispensabili per l'elettronica di tutto il mondo. Entrambi gli imperatori, l'americano e il cinese, hanno trovato uno spazio realistico per architettare un accordo che salvi mercati e pace.
Era già accaduto ai tempi del presidente Nixon quando inaugurò, con quello cinese Mao Zedong, la «politica del ping pong» (un torneo di tennis da tavolo) per contenere l'Unione Sovietica e funzionò. La storia non si ripete, ma continua.
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