In primo piano l'immunologia per battere il melanoma

É uno tra i più temibili tumori della pelle. In continua crescita a livello mondiale, con un'elevata incidenza nella popolazione giovane (oltre 232mila le nuove diagnosi solo nel 2012, circa 7-8mila in Italia ogni anno). Si tratta del melanoma cutaneo. Una neoplasia maligna, potenzialmente pericolosa: curabile se diagnosticata per tempo, ma particolarmente aggressiva, quando progredisce verso la fase avanzata. I progressi della ricerca, in questo ambito, sono però molto promettenti. Oggi arrivano dall'evoluzione dell'immunoterapia. In particolare con lo sviluppo di pembrolizumab (MK-3475), un'immunoterapia sperimentale, costituita da anticorpi anti-PD-1 (Programmed Death-1), altamente selettivi, messa a punto per ripristinare la naturale capacità del sistema immunitario, di riconoscere e colpire le cellule tumorali, mediante il blocco selettivo del legame del recettore PD-1 con i suoi ligandi (PD-L1 e PD-L2). La molecola, già designata lo scorso maggio dalla Food and Drug Administration (Fda) come «Breakthrough Therapy» (ovvero una terapia fortemente innovativa per il melanoma in stadio avanzato, con lo scopo di velocizzare la fase di sviluppo e revisione), ha ricevuto di recente, sempre dall'Fda, l'approvazione per il trattamento di pazienti con melanoma non resecabile o metastatico, già trattati con altri farmaci (ipilimumab o anche con un inibitore di Braf) e il cui tumore esprime la mutazione genetica Braf V600. «Grazie all'azione dell'anticorpo anti-PD-1 - sottolinea Michele Maio, direttore dell'immunoterapia oncologica del policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, Istituto Toscano Tumori - c'è una possibilità concreta di interferire, per la prima volta, su un meccanismo fisiologico diverso rispetto a quelli utilizzati in passato, vale a dire il riconoscimento e la distruzione della cellula tumorale da parte delle cellule del sistema immunitario».

«Il dato più importante che emerge da questo studio è che, con questa molecola, la

sopravvivenza a un anno, fino a qualche tempo fa sotto il 25 per cento, è adesso più che triplicata: il 70 per cento dei pazienti è vivo a distanza di un anno in corso di trattamento», aggiunge il professor Michele Maio.

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