Le anime morte che sfregiano il Colosseo

Pugno duro contro i vandali che imbrattano i monumenti

Le anime morte che sfregiano il Colosseo

Commentando per RaiNews la vicenda delle scritte con lo spray su un pilastro del Colosseo, mi sono incrociato con il sindaco di Lanciano che, accoratamente, parlava del gelo che ha colpito e mortificato i suoi cittadini, senza luce e senza acqua calda. A un certo punto, però, il sindaco dolente ha preso a sorridere raccontando che, davanti al focolare per qualche ora, con i telefonini scollegati, tante famiglie si sono ritrovate a riprendere conversazioni interrotte, con affettuosi ragionamenti e sentimenti semplici e puri. Tutti insieme, con le candele, i rumori ovattati, con una dolcezza perduta. Sono le stesse osservazioni che fece lo scrittore cattolico Giovanni Testori sul Corriere in un gelido inverno di trent'anni fa che piegò Milano e, letteralmente, la bloccò: automobili, tram, negozi. Tutto fermo, tutti in casa, modi di vivere antichi ritrovati, e in una inconsueta dimensione di autenticità.

Cosa c'entra con il Colosseo? C'entra: perché persone educate a una civiltà della conversazione, degli affetti familiari, del reciproco rispetto, non potrebbero neppure pensare di scaricare le loro nevrosi, scrivendo con lo spray su un monumento. Per nessuna ragione al mondo. E la nostra protesta non deve limitarsi alla condanna per il danneggiamento, comunque riparabile, come i disordini e le sporcizie alla Barcaccia da parte degli hooligans olandesi, ma estendersi allo sconforto, in quello come in questo caso, per l'ignoranza, l'insensibilità, la mancanza di rispetto di quelle anime morte, di quegli incoscienti che non sentono la verità e la sacralità dei luoghi. L'atteggiamento dissacrante è lo stesso del fanatico che sgozza il prete in chiesa: la caduta di ogni limite alla violenza dell'uomo, che ogni giorno si diffonde. E come era pensabile che si facessero saltare i tempi di Palmira?

Quante cose «incredibili» sono accadute in questi anni atroci? E quante ancora ne vedremo? Si è perduta per sempre, con la lenta dimensione conviviale, la «felicità della conoscenza», che migliora l'uomo, che lo tiene lontano da azioni turpi e insensate. Che senso ha scrivere sul Colosseo la propria rabbia? Contro cosa? A danno di chi? Un tempo si scrivevano i propri nomi graffiti sulle pietre dei tempi, per la patetica testimonianza di dire: «Ci sono stato anch'io. Sono arrivato fin qui». Il barbaro scrive per scrivere, per sfregio. E in realtà sfregia se stesso, confessa la propria ignoranza, con un atto gratuito. È uno scemo, e lo dimostra. Non ce ne libereremo, ma dovremo umiliarlo, vedendolo nudo.

Appostiamoci e aspettiamolo: vedremo un miserabile e un vigliacco. Baruch Spinoza scriveva: «Bene e male non sono una buona o una cattiva azione; ma bene è ciò che accresce la conoscenza, male ciò che la arresta». Chi ha scritto sul Colosseo è, prima di tutto, un ignorante.

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