Sono molte le frasi che hanno reso celebre e in qualche modo caratterizzano Sergio Marchionne. L'ex ad di Fca è morto nella clinica a Zurigo dove era andato per operarsi. Dopo l'annuncio delle complicazioni post-operatorie, le notizie di una situazione "irreversibile", ora la verità che in molti ormai si attendevano. Al suo posto Fca ha già messo Mike Manley e Camilleri alla Ferrari. Il titolo lunedì ha perso qualche punto, poi ha recuperato nella giornata di ieri.
In molti sui social sono tornati a leggere le sue frasi celebri. "In tutta sincerità - diceva Marchionne - non riesco a vedere un mio futuro dopo la Fiat. Non è la prima azienda che ho risanato, ma è senza dubbio quella che credo mi stia permettendo di esercitare tutte le mie capacità. Temo di non avere dentro di me l'energia per un altro ciclo di questa intensità". E infatti sulla situazione dell'azienda automobilistica non ha mai nascosto le difficoltà di un risanamento. "Nessuno ci credeva, pensavano che avessi fumato qualcosa di strano. Oggi posso dire che non mi ha mai sfiorato la tentazione di rinunciare, piuttosto il pensiero che forse non avrei dovuto accettare. Ma era la Fiat, era un'istituzione del paese in cui sono cresciuto".
Sugli stabilimenti, invece, Marchionne era solito ricordare di come ha cercato di rendere migliori le condizioni di vita in fabbrica per i lavoratori: "Mi ricordo i primi 60 giorni dopo che ero arrivato qui, nel 2004: giravo tutti gli stabilimenti e poi, quando tornavo a Torino, il sabato e la domenica andavo a Mirafiori, senza nessuno, per vedere quel che volevo io, le docce, gli spogliatoi, la mensa, i cessi. Cose obbrobriose. Ho cambiato tutto: come faccio a chiedere un prodotto di qualità agli operai e farli vivere in uno stabilimento così degradato". Degli operai diceva: "Ho grande rispetto per gli operai e ho sempre pensato che le tute blu quasi sempre scontino, senza avere responsabilità, le conseguenze degli errori compiuti dai colletti bianchi". E a chi lo criticava di aver portato molti licenziamenti durante il risanamento, diceva: "Non è licenziando che si diventa più efficienti. Non è il costo del lavoro di per sé che fa la differenza tra un'azienda competitiva e una relegata ai margini del mercato".
Sono molte poi le frasi, raccolte da Tgcom24, che disegnano la personalità dell'ex ad. "La leadership non è anarchia - diceva - in una grande azienda chi comanda è solo. La 'collective guilt', la responsabilità condivisa, non esiste. Io mi sento molte volte solo". E ancora: "Il diritto a guidare l'azienda è un privilegio e come tale è concesso soltanto a coloro che hanno dimostrato o dimostrano il potenziale a essere leader e che producono risultati concreti di prestazioni di business".
Figlio di un carabiniere, Marchionne ha dedicato la sua ultima uscita pubblica alla presentazione delle nuove Jeep fornite all'Arma. "Lo riconosci il figlio di un carabiniere?", aveva scherzato con un cane. Si sentiva italiano: "Questa è la cosa che mi fa incazzare di più. 'Manager canadese', è l'ultima di tutta una serie che arriva a dipingermi come anti italiano, pur di minare la mia identità di manager. Io ho il passaporto italiano". Forte anche il legame con l'Abruzzo dove è nato: "È la mia terra. Sono nato qui, a Chieti. Qui ho fatto i miei primi otto anni di scuola. E forse, se non fossi emigrato in Canada con la mia famiglia all'età di quattordici anni, avrei frequentato anche questa università. Sono dovuti passare quarant'anni e altre due nazioni, la Francia e la Svizzera, prima che la vita mi riportasse in Italia".
Il manager col maglioncino non c'è più. "Io sono così. Il tizio con il maglione. Almeno non mi confondo la mattina nell'armadio. I miei maglioni hanno un piccolo tricolore sulla manica. E lo porto con orgoglio, io".
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