Quelle manovre segrete per il "gabinetto di guerra"

I dati della Guerra parlano da soli: in Lombardia ci sono stati più morti che in tutta la Cina e, se si conteggiano i decessi in Italia, si arriva al doppio (a ieri 6.820)

Quelle manovre segrete per il "gabinetto di guerra"

I dati della Guerra parlano da soli: in Lombardia ci sono stati più morti che in tutta la Cina e, se si conteggiano i decessi in Italia, si arriva al doppio (a ieri 6.820). Se poi si sta dietro ai calcoli del capo della Protezione civile, Angelo Borrelli, per avere il dato esatto dei contagiati «è credibile», parole sue, moltiplicare per dieci il numero degli attuali 66mila: siamo, quindi, oltre le 600mila persone. Di fronte a questa ecatombe il governo, per esorcizzare gli errori delle settimane scorse (il New York Times ne ha fatto una disamina spietata), ha imposto una stretta ancora maggiore. Ieri prima è uscita una bozza di decreto dall'ufficio legislativo di Palazzo Chigi (ennesimo capolavoro del genio della comunicazione Rocco Casalino) che prevedeva addirittura multe da 4mila euro per chi circola per strada: ridotte a 3mila nel testo definitivo. Oltre alla delega alle Regioni per la proroga delle misure restrittive fino al 31 luglio. Addirittura, il premier si arrogherebbe il potere (almeno così era scritto nella bozza) di chiudere i luoghi di culto, cioè le Chiese: insomma, a Papa Francesco e al Papa Emerito Benedetto XVI, si è aggiunto il Pontefice delegato, Papa Giuseppi. Quindi, a conti fatti, la filosofia del governo di oggi non è neppure lontana parente di quella che ha animato l'esecutivo nelle scorse settimane: siamo passati dalla Torre di Babele, all'Inquisizione di Torquemada. Solo che il recinto è stato chiuso quando i buoi erano già fuggiti, visto che ci sono 600mila contagiati in giro per lo Stivale. Si può andare avanti così?

Un leader democristiano, Mino Martinazzoli, a cui Sergio Mattarella era molto legato, soleva ripetere nei giorni del tramonto della Prima Repubblica, un vecchio proverbio declinato nei secoli in mille versioni: «Chi tempo ha e tempo aspetta, il tempo perde». Ora, si può dire ciò che si vuole, ed è anche un dovere predicare un giorno pure e l'altro anche l'unità del Paese, ma l'esecutivo che si trova ad affrontare un'emergenza che nella sua escalation temporale si è dimostrata ben peggiore di una guerra, sta in piedi per poco più di tre voti al Senato ed è appoggiato da una maggioranza che è minoranza nel Paese (basta dare un'occhiata ai sondaggi). In più è guidato da un premier che trova una certa difficoltà a confrontarsi con l'opposizione. Per indurlo al vertice dell'altra sera con i capi del centrodestra, si è capito che il capo dello Stato è stato costretto a porlo di fronte ad un'opzione: o li incontri tu, o li incontro io.

Ovviamente, uno chiuderebbe tutti e due gli occhi se le politiche fossero efficaci, ma i dati dell'emergenza sanitaria, come si è visto, sono quelli che sono. Se poi guardiamo in prospettiva l'emergenza economica, c'è d'aver paura: perché se il governo andrà avanti in punta di piedi, lesinando misure e numeri, come ha già fatto per quella sanitaria, saranno guai. Paradossalmente hanno fatto bene alla nostra economia più le parole della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, che non quelle di Conte. Non per nulla ieri Renato Brunetta ha chiesto un altro «discostamento» di 50 miliardi dal bilancio e il ministro dell'Economia, Gualtieri, non ha potuto che dirgli un mezzo sì. Si va avanti, così, raddrizzando le tesi del governo, imponendogli uno strappo dopo l'altro: più rigidità sulle misure sanitarie, un maggior impegno in quelle economiche. E si ripropone l'interrogativo: si può andare avanti così?

Ieri Mattarella, ricordando l'eccidio delle Fosse Ardeatine, è tornato a dire: «Per rinascere ci è richiesta la stessa unità del dopoguerra». Ebbene, per dar vita alla «rinascita» del dopoguerra, ci fu una maggioranza di unità nazionale che andò avanti per più di tre anni (dal 22 aprile del 1944, al 31 maggio del 1947) e diede vita a sette governi (dal secondo governo Badoglio al terzo governo De Gasperi). E dentro c'erano idee, anzi ideologie, contrapposte, al cui confronto le opinioni differenti tra europeisti e sovranisti fanno ridere: c'era De Gasperi che guardava a Washington e Togliatti a Stalin. Eppure insieme rimisero in piedi un Paese. E l'Italia stava male, peggio di oggi. Sicuramente, invece, stava meglio quando si fece un'esperienza simile con i governi di unità nazionale per fronteggiare il terrorismo (la lista dei ministri fu concordata tra Dc e Pci).

È possibile che nella situazione attuale - non solo drammatica ma anche inedita - non ci sia una classe dirigente capace di seguire quegli esempi? Di tirare fuori un governo di quel tipo? Eppure l'idea continua a circolare. Se ne parla oggi, magari per farla domani. Domenica scorsa lo stesso Matteo Salvini l'ha evocata, ha citato Winston Churchill, ha parlato di «gabinetto di guerra». Se ci fosse la volontà politica, visto che tutti i partiti dovrebbero fare un passo indietro, ci vorrebbero non più di tre giorni per dare vita ad un governo di tutti. Magari, potrebbe essere lo stesso Conte a crearne le condizioni. Ha spiegato ai suoi Matteo Renzi, che sarà pure antipatico, un po' spaccone, ma dice le cose per quello che sono: «Io dei segnali li ho mandati. E ne manderò ancora quando parlerò al Senato questa settimana. Che debbo fare di più? Siamo in una condizione singolare: al Senato noi e il centrodestra potremmo anche fare maggioranza, alla Camera no. La verità è che tutti dovremmo prendere atto che oggi ci sarebbe bisogno del concorso diretto di tutti, di un esecutivo di tutti. E il primo a capirlo dovrebbe essere proprio Conte. Dovrebbe essere lui a dare un impulso ad un governo del genere, magari facendone parte - perché no? anche come ministro degli Esteri. Appunto, ci vorrebbe una presa di coscienza generale della profondità della crisi. Credo che Salvini ne sia cosciente, la Meloni ancora non so. Anche perché alla fine la realtà ci riporterà tutti con i piedi per terra: i dati economici della Germania sono terribili. Il nome di chi potrebbe presiedere un governo del genere? I soliti».

Così il «gabinetto di guerra», «il governo di unità nazionale» continua ad aleggiare quanto più l'emergenza non sembra aver fine. C'è chi ne parla nella speranza che da qui a qualche mese maturi. E chi, invece, specie i frequentatori di Palazzo Chigi, lo esclude.

Gianfranco Rotondi, uno degli estimatori di Conte nel Palazzo, recita la preghiera di Sant'Agostino: «Dio ci aiuti a distinguere le cose possibili da quelle impossibili. Un altro governo è tra queste ultime. Si andrà avanti con Conte fino a Natale e poi si voterà. Sempre se saremo ancora qui!».

Appunto, «chi tempo ha e tempo aspetta, il tempo perde». E se ne assumerà la responsabilità.

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