Renzi verso il game over

Dalle primarie al governo fino al successo alle Europee, il leader Pd si accorge che il vento cambia e va tutto a picco

Renzi verso il game over

Da Verdi a Chopin. Dalla marcia trionfale alla funebre. Com'è successo? E come possiamo evitare il lutto collettivo? La marcia di Matteo Renzi verso la presa del governo era stata irresistibile. Partì con una sconfitta, giacché il designato fu Pier Luigi Bersani, che non ci arrivò mai. Poi la vittoria nel partito, la defenestrazione di Letta, la presa del palazzo e le elezioni europee, per compensare la mancata legittimazione elettorale, che sì non è prevista dalla Costituzione, ma, insomma, non averla non è una bella cosa. Quindi la riforma costituzionale, con il passaggio di un testo che, in un frangente diverso, gli stessi che l'hanno votato l'avrebbero considerato uno scherzo. Di cattivo gusto. Infine il referendum, il coronamento, l'apoteosi. A seguire il trionfo elettorale.

Roba da coro verdiano, da incedere aidiano, da marcia nel sole splendente. Ma Chopin è magistrale nel ramo notturno, sembra gestibile, ma è travolgente. La colpa non è solo di Renzi. Ha personalizzato il referendum, certo, ma, se è per questo, ha personalizzato tutto. Ci manca poco che sia suo il merito dell'estate sopraggiunta. Poi anche il ministro Boschi ci ha tenuto a dire: vado via pure io, se perdiamo il referendum. Che son dispiaceri, ma anche tentazioni.

Sei mesi fa consideravo disperata la battaglia referendaria, persa in partenza. La propaganda a tre palle un soldo avrebbe vinto, a colpi di: meno politica, meno politici, meno Parlamento. Poi i giovani condottieri ci hanno messo del loro, e il vento è cambiato. Ma, attenzione, capita anche perché le cose vanno male. La ripresa è illusoria. Non solo cresciamo la metà della media europea, ma poco più di quel che è indotto dalle scelte della Banca centrale europea.

L'occupazione seguirà la ripresa, che non c'è ancora. Il Jobs Act è una buona riforma, ma serve a nulla se non c'è vera domanda di lavoro. I bonus aiutano i risultati elettorali, ma non i consumi, anche perché se ne vanno in aumenti delle tasse e delle tariffe amministrate (luce, acqua, gas, nettezza urbana, etc.) che crescono molto più dell'inflazione (che non c'è). Butta male, insomma.

Per Renzi la Brexit è stata una fortuna, che di suo è una follia, ma ti voglio vedere, dopo questa roba, a negare all'Italia un punticino più di Pil in deficit, per convincere gli elettori.

Ma prima è arrivato il problema delle banche. Le deroghe non possono essere infinite, i soldi non lo sono di certo.

Così, mentre Chopin avanza, la data del referendum, che si voleva immediata, s'allontana e la Corte costituzionale, vista prima come una iattura, forse aiuterà a ridiscutere una legge elettorale che somiglia a una lotteria. Per giunta con le Amministrative lì a dire che la riffa si può perderla. Eccome. Così come un aereo non ha la retromarcia, il renzismo non è adatto a mediare. O vince o cade.

Già, ma noi, pubblico pagante, perché dovremmo rassegnarci al lutto? C'è una via d'uscita? C'è: a) il referendum diventa i referendum, perché è stato un abominio usare l'articolo 138 della Costituzione per riformarla in modo scombiccherato e disorganico, sarebbe ancor peggio proporre il pasticcio agli elettori, quindi meglio più quesiti, con il che cade la chiamata a sopprimere o glorificare una sola persona; b) la Corte Costituzionale provvede alle condizioni per ridiscutere la legge elettorale; c) nel frattempo chi ha ancora una testa, e la tiene dalle parti delle spalle, s'accorge che non

solo all'Europa, ma neanche ai mercati e alla gente interessa un fico secco di tutta questa roba, sicché il Nazareno, in tutti i sensi inteso, lo si cerca sul terreno economico. Il solo veramente decisivo.

Twitter:@DavideGiac

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