Una vicenda che si è trascinata per anni si è conclusa con la prospettiva, oramai molto concreta, di un esborso dei contribuenti italiani da 160 milioni di euro.
Un giudice di Lecco ha dato ragione a Cgil ed Asgi (Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione) in merito ad una disputa giudiziaria che andava avanti da almeno sei anni e che ha avuto come oggetto l’imposta applicata a chi ha il permesso di soggiorno.
Adesso lo Stato italiano dovrà restituire una media di 160 euro a testa a qualcosa come 1.134.000 titolari di permesso determinato. Ma, per ricostruire per intero la vicenda, occorre andare per ordine: nel 2011 il governo Berlusconi IV ha introdotto un’imposta sul permesso di soggiorno variabile dagli 80 ai 200 euro, a secondo delle motivazioni e della durata della concessione.
Si è trattato, in un momento storico in cui la crisi iniziava a scalpitare ed in cui si iniziava a parlare di spending review, di un contributo aggiuntivo richiesto a coloro che ottenevano il diritto di rimanere in Italia volto a fornire loro servizi e diritti. Prima dell’introduzione dell’imposta, come ricorda La Verità, lo straniero che otteneva il permesso pagava solo una marca da bollo di 16 euro, il costo di stampa del documento e la spedizione postale.
Il provvedimento varato da Berlusconi è stato poi confermato negli anni successivi. Poi nel 2013 è arrivata l’impugnazione da parte di Cgil. Il sindacato, in particolare, ha ritenuta ingiusta l’imposta in quanto in poche parole andrebbe a gravare su soggetti più vulnerabili, quali i migranti titolari di permesso di soggiorno.
Ed è iniziata così la lunga trafila giudiziaria tra ricorsi al Tar, al Consiglio di Giustizia Amministrativa ed alla fine anche alla Corte di Giustizia Europea, che nel 2015 ha giudicato l’imposta “sproporzionata”. Una sentenza quella che ha poi aperto molte maglie, con lo stesso Tar che ha annullato il decreto del 2011 invitando la pubblica amministrazione ad una più equa disposizione dell’imposta e, contestualmente, anche alla restituzione di quanto pagato ai titolari di permesso.
Nel 2016 il governo Renzi ha varato una nuova tassa con tariffe ridotte, le quali hanno previsto un importo di massimo 130 euro.
Il caso è poi arrivato a Lecco in quanto il locale Caf della Cgil ha sollevato la questione della restituzione del pregresso. Ovvero, vista la sentenza del 2015 e la nuova legge del 2016, il sindacato ha iniziato a premere sulla restituzione di quanto pagato dai titolari di permesso di soggiorno dal 2011 al 2016.
L’avvocato Cinzia Gandolfi ha assistito 50 soggetti per conto del Caf della Cgil che reclamavano per l’appunto la restituzione di quanto pagato. A conti fatti, una media di 160 euro a testa. Ed ecco che si è arrivati dunque alla sentenza dei giorni scorsi: il giudice del tribunale di Lecco ha dato ragione alla Cgil, accogliendo la class action portata avanti assieme ai legali dell’Asgi.
Lo Stato non dovrà soltanto risarcire i 50 titolari di permesso in questione, ma tutti coloro che hanno avuto applicate quelle tariffe ritenute poi sproporzionate.
Come detto in precedenza, nel
nostro paese ad essere interessati dalla restituzione delle 160 euro sono almeno 1.340.000 soggetti titolari di permesso determinato. La sentenza arrivata dalla cittadina lombarda dunque, potrebbe costare 160 milioni di euro.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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