Il ristorante inventato sulla Rete oggi esiste. La forza dei social network è la suggestione

Internet rende possibile ripetere all’infinito il famoso scherzo di Orson Welles. Questo pone un problema di verità dei contenuti e di recupero dell’analogico

Il ristorante inventato sulla Rete oggi esiste. La forza dei social network è la suggestione

Con «Connessi e confusi» (Guerini, 21 euro) Danilo Broggi, presidente del Centro studi Cultura d’Impresa e componente advisory board Sda Bocconi, propone un viaggio nelle nuove tecnologie che più diventano pervasive più impongono una ricodifica dei comportamenti (avendo rivoluzionato produzione e mercati). Esse, però, stravolgono anche il nostro modo di comunicare e di pensare. E possono creare confusione.

«The Shed of Dulwich» (letteralmente «Il capanno di Dulwich») ha spopolato fa su Tripadvisor diventando il ristorante londinese numero uno nella classifica del noto portale dedicato a viaggi, turismo e ristorazione. Così finanzieri, attori e vip hanno cercato disperatamente di prenotare un tavolo, senza mai riuscirci perché veniva detto loro che era sempre completo. Come mai? Be', semplicemente non esisteva. Era il parto della fantasia di Oobah Butler, un freelance writer che ha voluto sperimentare come il capanno nella sua modesta casa a nord di Londra potesse trasformarsi nel ristorante più cool della capitale lavorando di post e like.
Poi lo scorso gennaio, a conclusione del suo esperimento, ha postato un video che svelava lo scherzo (chiamiamolo così). Risultato: più di 33 milioni di visualizzazioni. La cosa più sorprendente di questa vicenda non è tanto il dimostrare quanto siamo più o meno consapevoli delle falsità che circolano in internet, bensì come la falsa notizia, gestita «professionalmente», riesca a generare realtà. Butler, infatti, si è spinto oltre. Non contento di aver fatto diventare il suo inesistente ristorante il numero uno a Londra, una sera ha deciso di accettare le prenotazioni e ha preparato una magnifica cenetta con zuppe preconfezionate, cibi comprati al supermercato e riscaldati al microonde. La maggior parte degli avventori ha postato complimenti e dato alti voti al finto chef. In buona sostanza quello che Butler ha dimostrato è che le fake news non solo ci fanno credere a quello che non esiste, ma che addirittura in quel mondo di falsità ci si possa immergere senza avere più la capacità di distinguere il buono dal «farlocco» anche quando il falso si appalesa e prende forma di realtà. Le fake news sono sempre esistite sin dai tempi antichi e sono servite a scopi bellici e di potere o, per restare più vicini ai nostri giorni, per fare lauti guadagni in Borsa. I media moderni le potenziano in modo esponenziale: basti ricordare la cronaca in diretta dello sbarco dei marziani trasmessa da Orson Welles il 30 ottobre 1938 dalla Cbs.

Oggi la potenza inesauribile della Rete, dei social network e dei blog, nonostante gli «algoritmi di verità» presenti su tutte le più grandi piattaforme social (compreso Tripadvisor), è un fiume in piena capace di trasformare il falso in una verità anche ben strutturata. Capite bene cosa significhi il sistematico utilizzo di fake news quando parliamo di elezioni politiche, reputazione personale e aziendale, con tutte le mistificazioni possibili che possono indurre milioni di persone a «credere» o a non avere più fiducia in una persona, in un'iniziativa o in un'idea a prescindere dalla sua veridicità. Le conseguenze sono ovviamente terribili. In un recente studio che prende in considerazione il fenomeno delle fake news inerenti le recenti elezioni americane, i ricercatori Hunt Allcott e Matthew Gentzkow del National Bureau of Economic Research introducono, a proposito dei verificatori e delle notifiche di contestazione di veridicità, una nuova domanda: «Identificare articoli e siti che diffondono notizie false fa sorgere, teoricamente, un nuovo problema: chi è l'arbitro della verità?». Peraltro, un gruppo di ricercatori di varie discipline della Yale University ha studiato il fenomeno anche con la somministrazione di questionari producendo un documento che nel titolo anticipa la sintesi della ricerca: «Implausibilità e verità illusoria: l'esposizione precedente aumenta l'accuratezza percepita delle notizie false ma non ha alcun effetto su affermazioni del tutto non plausibili». Nel documento si prova come l'introduzione della possibilità di «flaggare» da parte degli utenti la cosiddetta «Disputed by 3rd party fact-checkers» abbia avuto un qualche effetto positivo, ma siamo tuttora ancora lontani da rendere innocua una fake «sapientemente» strutturata. Tornare ai libri, ai vecchi saggi e ogni tanto spegnere lo smartphone. Su questo claim forse è nato l'analog renaissance. Macchinette che forniscono racconti e poesie stampate su rotoli di carta da leggere in pochi minuti giusto per ingannare l'attesa. Spopolano in Francia, dove di questi distributori automatici di storie brevi ne sono stati installati più di 150 in vari luoghi, compreso l'aeroporto Charles De Gaulle, oltre a una ventina negli Stati Uniti. Basta premere uno dei tre bottoni selezionando il tempo di lettura (1, 3 o 5 minuti) e dalla macchinetta a forma di cilindro esce un foglio di carta, tipo scontrino, che contiene la lettura prescelta. Leggere un testo su carta al posto di guardare il nostro smartphone.


È in linea con quanto gli psicologi dell'Università di Rochester, in una serie di esperimenti, hanno scoperto e pubblicato nel loro Personality and Social Psychology Bulletin: le persone sole senza dispositivi elettronici per 15 minuti (nell'arco di un'ora) hanno iniziato a pensare e a scegliere dove rivolgere i loro pensieri, sentendosi più

calme, meno arrabbiate o ansiose, senza provare sentimenti di solitudine o tristezza. Leggere di più i «vecchi» libri e spegnere 15 minuti ogni ora il nostro smartphone. Che sia questa la ricetta più semplice ed efficace?

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