Roma, rifugiati sudanesi in strada da tre mesi

Ancora non si sblocca la situazione rifugiati sudanesi sfrattati lo scorso luglio dallo stabile di via Scorticabove, nel quartiere di San Basilio, alla periferia Est di Roma. La giunta Raggi brancola ancora nel buio

Roma, rifugiati sudanesi in strada da tre mesi

"Siamo in Italia ma sembra di essere tornati in Africa”. È alta la tensione e la frustrazione tra i sudanesi sfrattati lo scorso luglio dall’immobile di via Scorticabove. Da quel giorno dormono accampati lungo le strade di San Basilio, alla periferia Est di Roma.

La storia del centro accoglienza di via Scorticabove

Sono circa una sessantina, tutti uomini e tutti rifugiati politici provenienti dal Darfur, che vivono in Italia da tredici anni. I problemi, per loro, sono iniziati nel 2015, quando la cooperativa che gestiva la loro accoglienza, rimasta coinvolta nello scandalo di Mafia Capitale, li ha abbandonati lasciandoli all’interno della struttura e con debiti e bollette accumulati. Lo scorso 5 luglio, è arrivata la notifica di sfratto dell’ufficiale giudiziario per morosità e, da quel giorno, i sudanesi si sono trasferiti nei dintorni dell’ex centro, con tende e materassi. A fornirgli giornalmente gli aiuti sono alcune associazioni umanitarie e Ong, tra cui il Baobab (che ha aiutato i migranti della nave Diciotti a fuggire verso Ventimiglia).

La solitudine dei rifugiati del Darfur tra disoccupazione e sogni infranti

“Tutti noi abbiamo lo status di rifugiati ma stavamo male anche quando c’era la cooperativa. Avevamo piatti e posate ma non ci davano il cibo. Ora qui non c’è lavoro, ma non posso né tornare nel mio Paese né lasciare l’Italia per colpa di Dublino”, ci racconta Hamid, un sudanese approdato in Italia nel 2008. Alcuni suoi amici “lavorano nelle bancarelle” mentre hanno altri hanno lasciato via Scorticabove per andare a raccogliere i pomodori in Sicilia. Ma la maggior parte degli sfollati vive buttata per strada, passando il tempo dentro il bar più vicino. “Quando dobbiamo usare il bagno ci facciamo offrire un caffè e andiamo lì”, ci dice un altro profugo.

In un’altra tenda incontriamo Issam, che nel corso di questi ultimi anni è diventato cittadino italiano a tutti gli effetti. Ha persino sposato una marchigiana, eppure non riesce a risollevarsi: “Sono un ingegnere meccanico specializzato ma ho anche un’esperienza lavorativa come operatore in un centro d’accoglienza. Ora – spiega – ho perso il lavoro e sono tornato qui ma io al Comune posso dare qualcosa. Voglio dare, non solo ricevere”. “A breve, forse, ci sgombrano anche da qui ma per andare dove? In un’altra strada?”, si chiede Issam. Se la prende con il Campidoglio: “È incapace di gestire una situazione del genere, non sa dove mettere mano”.

La rabbia dei residenti tra degrado e fallimento dell'accoglienza della giunta Raggi

Dopo il caos generato dallo sgombero del Camping River, il fallimento delle politiche di integrazione e accoglienza della giunta Raggi continua a regalare alla città i suoi frutti avvelenati. A confermarlo sono le parole di Michela Esposito, presidente del Comitato di quartiere di Settecamini: “Ci troviamo in una zona piena di problemi e carenze: sia a livello di servizi che di presidi di sicurezza”. E aggiunge: “La scuola di mio figlio è vicina a via Scorticabove ma anche all’ex fabbrica di penicillina, occupata da anni da centinaia di stranieri, ed è continuamente presa di mira con furti e atti vandalici”. I residenti, quindi, si sentono circondati dal degrado. “L’altro giorno ero in macchina con mio figlio e sono passata per via Scorticabove, perché la Tiburtina era trafficata, e uno degli accampati era nudo e si stava tranquillamente vestendo all’aria aperta.

Spesso vediamo migranti che si lavano alle fontanelle e urinano nei parchi: è un continuo”, racconta ancora la presidente del Comitato. E lancia un appello: “Se queste persone hanno dei requisiti, leviamole dalla strada”. Alla Raggi, ora, l’obbligo di rispondere all’ennesimo grido di dolore della periferia romana.

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