Il ruolo della moto Honda: ecco la svolta nei misteri del caso Moro

La Commissione parlamentare Antimafia accende un faro sulla motocicletta vista da molti testimoni oculari quel 16 marzo 1978 in via Fani. Non solo c’era ma molto probabilmente partecipò al sequestro

Panoramica dall'alto durante i rilievi tecnici sulla scena dell'agguato in via Fani
Panoramica dall'alto durante i rilievi tecnici sulla scena dell'agguato in via Fani

Per quasi 45 anni, quanti ne sono passati dalla strage di via Fani in cui fu rapito Aldo Moro e sterminata la sua scorta, ci si è interrogati sul ruolo di una moto Honda, vista da numerosi testimoni oculari, con in sella due persone tuttora non identificate. Quella moto è entrata a pieno titolo nei cosiddetti ‘misteri del caso Moro’, una categoria in cui in realtà si raggruppano i nodi che tanti anni di indagini non hanno saputo sciogliere.

Ora però sulla moto Honda accende un faro la Commissione parlamentare Antimafia, giungendo a una svolta, che IlGiornale.it è in grado di anticipare: quella motocicletta non solo c’era ma molto probabilmente partecipò all’azione del 16 marzo 1978.

Su chi fossero gli individui in sella alla Honda, le ipotesi negli anni si sono sprecate: due autonomi romani che passavano lì per caso, teoria inverosimile ma accreditata dal brigatista Alessio Casimirri, che parlando con un altro membro dell’organizzazione, Raimondo Etro, li avrebbe definiti “due cretini”. O addirittura, come sostenuto dall’ex ispettore della polizia Enrico Rossi, agenti dei Servizi. Una ridda di ipotesi che paradossalmente ha contribuito a stendere una fitta nebbia sulla Honda.

Già l’ex procuratore generale di Roma Antonio Marini, audito nel 2015 dalla seconda Commissione Moro, definì “un cruccio” la mancata identificazione degli occupanti della moto, confessando che il fatto che avrebbero potuto “restare impuniti” lo tormentava.

Le indagini delle Commissione Antimafia, tuttavia, confermano l’operatività sul luogo della strage della moto e, dunque, la presenza di un numero maggiore di soggetti coinvolti nell’agguato. Partendo proprio dalle conclusioni della seconda Commissione Moro del 2017, che aveva ribadito in modo netto che la moto aveva operato in via Fani, l’organo parlamentare ha sentito nuovamente un testimone oculare, all’epoca dei fatti studente universitario ed esperto proprio in motocicletta.

Nel suo verbale, di cui IlGiornale.it può anticipare in esclusiva il contenuto, il testimone, romano ma ora residente nel Nord Italia, ha ricordato di essersi fermato, la mattina del 16 marzo 1978 all’incrocio di via Fani con via Stresa provenendo da via della Camilluccia, per permettere il passaggio a piedi di due uomini che indossavano divise blu da avieri, cioè l’abbigliamento scelto, anche a detta dei brigatisti coinvolti, per il gruppo di fuoco.

Il testimone, però, aggiunge un altro particolare importante e, soprattutto, nuovo: vide una moto, ferma sul suo cavalletto, davanti al bar Olivetti, l’attività commerciale posta proprio di fronte al luogo dell’agguato e che quella mattina era chiusa, con al posto di guida un giovane anche lui vestito da aviere. Non solo: il testimone precisa che quell’individuo non poteva essere lì per caso, visto che anche gli avieri che aveva visto transitare a piedi, si erano diretti verso il bar. Dalla scena complessiva, il testimone aveva ricavato l’impressione che il bar fosse un punto di ritrovo, anche se allora non lo insospettì, visto che nella zona risiedeva personale dell’Alitalia.

Il testimone, sentito subito dopo la strage, raccontò già nel 1978 di aver visto una moto di grossa cilindrata ferma dinanzi al bar ma nella sua recente deposizione aggiunge il particolare della persona in sella vestita da aviere. Cosa che esclude l’ipotesi, presa incredibilmente per buona nelle passate inchieste, che la moto fosse lì per caso. Se i membri del commando, per stessa ammissione dei membri delle Brigate Rosse, vestirono divise da avieri, l’individuo visto dal testimone, ha verosimilmente partecipato all’azione.

Un particolare, questo, che cambia la scena in via Fani. La Commissione Antimafia definisce il testimone “di elevatissima attendibilità” anche se le sue dichiarazioni non erano mai state approfondite. Dichiarazioni che rendono ora impossibile negare che una motocicletta con due persone a bordo abbia svolto almeno un ruolo di appoggio per il commando di via Fani.

La conferma, paradossalmente, arriva anche dall’atteggiamento dei brigatisti, che negli anni hanno sempre negato la presenza della moto, a cominciare da Valerio Morucci, autore del memoriale su cui si basa la ricostruzione giudiziaria dell’agguato del 16 marzo 1978. La posizione degli ex terroristi è stata sempre la stessa: fare spallucce sulla moto e prendere le distanze. Eppure, come abbiamo visto, quella moto a via Fani c’era. Oltre al testimone sentito di nuovo dalla Commissione Antimafia, ci sono almeno sei testimoni che già all’epoca dei fatti hanno riferito agli inquirenti di aver visto la moto.

Il più importante di questi, un testimone chiave di via Fani, è l’ingegner Alessandro Marini, che quella mattina si trovava pochi metri oltre l'incrocio tra via Fani e via Stresa e aveva visto una motocicletta di grossa cilindrata con a bordo due persone seguire la Fiat 132 in fuga in via Stresa sulla quale era stato caricato Aldo Moro. Marini riferì che uno degli individui in sella alla moto impugnava un’arma corta ed era rassomigliante all’attore Eduardo De Filippo.

È forse solo una coincidenza ma di un poliziotto definito “agente Eduardo” proprio per la somiglianza col drammaturgo napoletano, si parla, in un appunto del 2016 agli atti della Commissione Moro, che IlGiornale.it presenta qui per la prima volta, firmato dal magistrato consulente Gianfranco Donadio. Riporta la testimonianza dell’ex poliziotto Pasquale Viglione che, nell’estate del 1980, mentre era in servizio notturno a bordo della volante Monteverde 2, aveva fermato un’auto con a bordo Matteo Piano, socio della concessionaria automobilistica Autocia, connessa con l’arresto nel covo di Viale Giulio Cesare a Roma dei brigatisti Valerio Morucci e Adriana Faranda e legato da rapporti di conoscenza con il falsario della Banda della Magliana Tony Chichiarelli, e un passeggero, qualificatosi come appartenente ai Servizi, di circa 30/35 anni “con una folta capigliatura mossa ed un viso particolare, molto assomigliante all’attore Eduardo De Filippo”.

Lo stesso documento aggiunge che Viglione aveva notato “l’agente Eduardo” anni dopo presso l’istituto scolastico privato Beata Angelina, in via Caterina Fieschi a Roma, in compagnia di Maurizio Navarra, già direttore della Scuola di addestramento Sisde dal 1980 al 1999, ed ex addetto al Centro di controspionaggio Roma 2 del Sisde, mentre prendevano a bordo degli alunni che uscivano dall’istituto.

Curiosamente, l’ex ispettore di polizia Enrico Rossi parlò proprio di un presunto agente dei Servizi somigliante a Eduardo De Filippo, lo stesso profilo che aveva visto l’ingegner Marini, che dopo le sue deposizioni fu minacciato.

Il testimone, infatti, ribadì nel corso del processo Moro Uno in aula di aver visto la moto come facente parte di un gruppo “di 15-16 persone”, dunque molto più numeroso di quello indicato dalle ricostruzioni dei brigatisti. Che, evidentemente, non dicono tutto quello che sanno, anche sul ruolo della moto Honda.

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