Sì al 25 aprile no alle messe Il virus è rosso

il 25 Aprile, simbolo con gli orrori di piazzale Loreto della divisione nazionale, sono pronti a festeggiarlo in piazza.

Sì al 25 aprile no alle messe Il virus è rosso

A Pasqua ci hanno tenuti chiusi in casa. Così con messe e preghiere è finita nel dimenticatoio una festa in cui Croce e Resurrezione sono simbolo di pace e fratellanza, ma anche di comune identità culturale e religiosa. E in casa, in questi sessanta e passa giorni bui, ha dovuto pregare e piangere chi ha perso un proprio caro portato via dal virus. Ma il 25 Aprile, simbolo con gli orrori di piazzale Loreto della divisione nazionale, sono pronti a festeggiarlo in piazza. E pur di farlo non esitano a mettere a repentaglio la sicurezza e la salute di una maggioranza decisa a starsene a casa. È la becera protervia dell'antifascismo militante. Una protervia a cui si piega il governo Conte concedendo all'Anpi di celebrare in piazza la Liberazione. Una concessione irrispettosa della salute pubblica ed estremamente faziosa. L'Anpi non rappresenta più i veri partigiani, ma solo una minoranza erede dell'antifascismo più bieco ed spietato. Quello di chi, 75 anni fa, non sognava di restituirci la libertà, ma di sostituire il fascismo con il comunismo. Quello di chi con Volanti Rosse da una parte e titini dall'altra continuò a massacrare a guerra finita non solo gli ex fascisti, ma anche i partigiani colpevoli di opporsi a un nuovo totalitarismo. L'antifascismo di chi, oggi, nega la tragedia delle foibe o attacca anche da morto un Giampaolo Pansa colpevole di aver raccontato le vergogne della resistenza con la «r» minuscola. E così grazie alla debolezza di un governo Conte succube dei troppi ex comunisti del Pd anche quest'anno s'è persa un'occasione. A suggerirla c'aveva provato l'ex ministro della Difesa Ignazio la Russa invitando a trasformare il 25 Aprile in una solenne commemorazione delle vittime della pandemia. In un solo giorno avremmo potuto ricordare i morti di due guerre ugualmente spietate e crudeli. Tutti i caduti del secondo conflitto mondiale e tutti quelli falcidiati, in questi due mesi, da un virus invisibile, ma spietato. Accogliendo quel suggerimento avremmo definitivamente sepolto 75 anni di odi e lacerazioni nazionali. E avremmo celebrato non più la vittoria o la sconfitta di un'altra Italia, ma la grandezza di un Paese unito capace, oggi come nel 1945, di lottare e risorgere dalle proprie ceneri. Ma ancora una volta non ce l'hanno fatto fare. Perché quelli pronti a scendere in piazza domani sono gli stessi che 75 anni fa festeggiavano sotto i cadaveri di piazzale Loreto.

Allora sognavano di allinearsi al comunismo sovietico. Oggi amano vederci divisi e litigiosi, incapaci di ritrovare quell'unità nazionale senza la quale sarà impossibile far valere la grandezza dell'Italia davanti all'Europa e al resto del mondo.

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