Quella del salario minimo sarà una delle questioni al centro del vertice di oggi a Palazzo Chigi. A pretenderlo non ci sono solo i rider ma anche gli oltre 350mila dipendenti delle cooperative sociali che in Italia percepiscono retribuzioni di molto inferiori al tetto che vorrebbe imporre il ministero guidato da Luigi Di Maio.
A raccontare l’universo delle cooperative è il quotidiano La Verità che traccia un quadro di una realtà fatta di personale qualificato e sottopagato, a fronte di introiti milionari provenienti dalla pubblica amministrazione. Negli ultimi decenni, infatti, sempre più comuni hanno esternalizzato determinati servizi, come quelli sociosanitari e assistenziali. Le paghe sono da fame, nonostante in alcune regioni dello Stivale, come l’Emilia Romagna, alcune cooperative arrivano a fatturare anche centinaia di milioni di euro.
Per un appalto di circa 23 euro l’ora, ad esempio, pagate dal Comune di Bologna per assistere i bimbi disabili nelle scuole, una storica cooperativa del capoluogo emiliano offre meno di 6 euro netti ai suoi dipendenti. È questo il costo standard del lavoro per gli impiegati, spesso giovani diplomati o laureati. Non esistono, denunciano i sindacati, progressioni di carriera, formazione, rimborsi spese per gli spostamenti, buoni pasto. Sempre a Bologna ha fatto indignare la vicenda di alcuni educatori dipendenti di una cooperativa costretti addirittura da un accordo sindacale a consumare soltanto la metà del pasto offerto dalla mensa scolastica.
Anche per questo lo scorso 3 giugno i lavoratori delle cooperative sociali hanno scioperato denunciando le “condizioni di semi-schiavitù” in cui sono costretti ad operare.
Problemi che si riscontrano in tutti i settori, da quello sanitario dove alcuni infermieri in Campania vengono retribuiti con “rimborsi spese”, a quello assistenziale, dove in alcuni casi gli operatori devono pure “timbrare il cartellino” attraverso una app pensata ad hoc dalla cooperativa che gestisce il servizio. Sono anche loro a chiedere nuove tutele al governo.
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